Il Centro Astalli: "Le parole del Papa sono le stesse dei rifugiati che accogliamo"
Andrea De Angelis - Città del Vaticano
"Sento le vostre grida e prego per voi". Le parole del Papa per le persone migranti in Libia hanno ancora una volta un'eco mondiale e giungono in un momento in cui le cronache raccontano di centinaia di donne, uomini e bambini soccorse in mare da navi umanitarie. Oggi è attraccata al porto di Trapani la nave 'Aita Mari', della ong spagnola Salvamento Maritimo Humaniario, con 105 persone a bordo soccorse la scorsa settimana. Resta in mare, in attesa dell'assegnazione di un porto sicuro, la 'Geo Barents' di Medici senza frontiere, con a bordo 367 persone migranti soccorse in cinque diversi interventi. Tra loro un terzo sono minori non accompagnati, un decimo donne.
L'appello del Papa
Al termine della preghiera mariana dell'Angelus, ieri Papa Francesco ha chiesto a tutti i cristiani di sentirsi responsabili del dramma vissuto dai fratelli migranti:
Sentiamoci tutti responsabili di questi nostri fratelli e sorelle che da troppi anni sono vittime di questa gravissima situazione.
Una gravità che il Papa ha descritto con parole chiare, inequivocabili, la cui forza ancora una volta interpella tutti e ciascuno. Francesco ha definito "disumana" la violenza verso queste persone, invitando la comunità internazionale a mantenere le promesse. Quindi ha utilizzato il termine "lager" per i centri di detenzione libici, chiedendo che sia data priorità al soccorso di vite in mare.
Tanti di questi uomini, donne e bambini sono sottoposti a una violenza disumana. Ancora una volta chiedo alla comunità internazionale di mantenere le promesse di cercare soluzioni comuni, concrete e durevoli per la gestione dei flussi migratori in Libia e in tutto il Mediterraneo. E quanto soffrono coloro che sono respinti! Ci sono dei veri lager lì. Occorre porre fine al ritorno dei migranti in Paesi non sicuri e dare priorità al soccorso di vite umane in mare con dispositivi di salvataggio e di sbarco prevedibile, garantire loro condizioni di vita degne, alternative alla detenzione, percorsi regolari di migrazione e accesso alle procedure di asilo.
Vie legali d'ingresso
"Le parole del Papa rappresentano in maniera molto veritiera quello che i rifugiati ci raccontano della Libia: torture, privazione della libertà, storie di persone costrette a vivere in veri e propri lager". Ad affermarlo nell'intervista a Radio Vaticana - Vatican News è Donatella Parisi, responsabile comunicazione del Centro Astalli, sede italiana del Servizio dei Gesuiti per i Rifugiati (JRS), da quarant'anni impegnato in attività di accompagnamento e difesa dei diritti di chi arriva in Italia fuggendo da guerre e violenze, non di rado anche dalla tortura.
Che cosa avete provato, come Centro Astalli, nel sentire le parole del Papa? Francesco ha parlato di "lager" e di "violenza disumana"...
Ascoltando le parole del Papa ci siamo sentiti incoraggiati, confermati nella nostra azione di sensibilizzazione e racconto di quello che accade in Libia. Le sue parole rappresentano in maniera molto veritiera, senza alcuna forma di retorica, quello che i rifugiati ci raccontano della Libia: torture, privazione della libertà, storie di persone costrette a vivere in veri e propri lager in cui non sono garantiti i diritti umani. Questi racconti li sentiamo tutti i giorni da donne e uomini che accogliamo al Centro Astalli.
In passato, anche di recente, abbiamo sentito alcune espressioni che vanno in direzione opposta. Le navi umanitarie etichettate come "taxi del mare", i respingimenti proposti come unica soluzione al massacro nel Mediterraneo. Sono due narrazioni diverse, frutto anche di strumentalizzazioni ed interessi di parte?
Sono due narrazioni totalmente opposte, agli antipodi. Quella del Papa è la vera narrazione, quella che rappresenta la realtà dei fatti. L'altra è mistificazione, una rappresentazione falsa e mendace di quello che fanno le ong nel mare, che sono l'unica possibilità di salvezza per chi cerca di raggiungere l'Europa in cerca di protezione. La narrazione falsa è stata di recente anche dichiarata tale nei tribunali, smentita con delle sentenze. Il tema è che non ci sono vie legali d'ingresso, dunque parlare di muri o attaccare le ong è un modo sbagliato di affrontare un tema che, attenzione, non è emergenziale, ma strutturale.
Per quanto riguarda i muri, l'Europa ha detto no al finanziamento di barriere al confine del continente. Però i muri non sono fatti solo di mattoni, si possono alzare anche nel Mediterraneo attraverso accordi politici?
Sì, i muri non sono fatti solo di mattoni e negli ultimi anni l'Europa si è trincerata. Lo ha fatto con accordi di esternalizzazione, pensiamo a Turchia e Libia. Si è chiusa in una sorta di fortezza attraverso atti politici precisi che hanno come scopo di impedire l'arrivo di persone migranti in Europa. Il costo di ciò si conta in vite umane. Ogni giorno persone muoiono nel Mediterraneo, nei Balcani, nei pressi delle isole greche. Per noi questo è il fallimento dell'Unione Europea, a cui chiediamo di riappropiarsi del principio della solidarietà tra i popoli su cui si basa l'Europa stessa. Il suo futuro è nell'accoglienza, le vite umane devono essere sempre salvate.
No a muri e filo spinato
Non ci saranno fondi comunitari per la costruzione di barriere al confine esterno dell'Europa per rafforzare il controllo del traffico di persone migranti irregolari. A metterlo in chiaro è stata la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, al termine del Consiglio europeo della scorsa settimana, che ha visto i lavori prolungarsi di diverse ore proprio per la discussione animata sul tema dell'immigrazione. Parole ribadite anche dal Presidente del Consiglio italiano, Mario Draghi. "Si è parlato di infrastrutture fisiche, ma sono stata molto chiara sul fatto che non ci saranno finanziamenti di reticolati di filo spinato o di muri", ha detto il capo dell'Esecutivo comunitario in una conferenza stampa al termine del Consiglio. Nessuna risposta affermativa, dunque, alla richiesta avanzata a inizio ottobre da dodici Paesi - Austria, Cipro, Danimarca, Grecia, Lituania, Polonia, Bulgaria, Repubblica Ceca, Estonia, Ungheria, Lettonia e Repubblica Slovacca - sulla possibilità di avere dei fondi europei per costruire muri alle frontiere.
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