La scomparsa di don Pietro Sigurani, il parroco dei poveri romani
Alessandro Di Bussolo – Città del Vaticano
“Aiutaci Signore ad aver rispetto dei poveri ad amarli. Gesù ridona la speranza a queste persone e metti nel cuore di chi può il desiderio di aiutarli a vivere dignitosamente…“. Così pregava davanti alla Sindone a Torino, sette anni fa, don Pietro Sigurani, fino al giugno 2021 rettore della basilica romana di Sant’Eustachio, a due passi dal Senato, scomparso questa mattina ad 86 anni. Aveva accompagnato due gruppi di poveri di Roma in un pellegrinaggio donato dal Papa attraverso l’Elemosineria apostolica dell’allora monsignore, oggi cardinale, Konrad Krajewski.
Avere rispetto e amore per i poveri e le loro sofferenze
Lo ha raccontato alla collega Benedetta Capelli su Vatican Magazine, nel video che qui riproponiamo, spiegando di essere rimasto in silenzio davanti al Sacro sudario insieme ai senzatetto della Capitale. “Sono rimasti due o tre minuti in un silenzio totale – diceva - e io li guardavo, vedevo che fissavano il volto di Cristo sofferente. Chissà che avranno pensato! Chissà in quell’immagine forse avranno visto le famiglie lontane, le mogli lontane, i figli, quelle sofferenze che sono nel cuore”.
C’è tutto don Pietro in queste parole, lui che sapeva davvero essere povero tra i poveri, che per loro e con loro ha creato la “Domus Caritatis”, con mensa, dormitorio, studio medico e centro di ascolto, nella parrocchia della Natività di Nostro Signore Gesù Cristo, in via Gallia, guidata per 37 anni, dal 1975 al 2012. Ancora prima case per i poveri e una scuola per sordomuti in Tunisia, dove tornava ogni anno con gruppi delle sue parrocchie.
"Il caffè scalda il cuore"
E infine il “Ristorante dei poveri” e la “Casa della Misericordia”, inaugurata a Sant’Eustachio nel settembre 2018, che in basilica fanno mangiare fino a 150 persone al giorno, anche durante il lockdown, e nei sotterranei della chiesa, tra i palazzi della politica e i ristoranti dei turisti, offrono il centro di ascolto, con servizi di assistenza legale e consigli medici, e riparo in un centro di accoglienza. Qui don Pietro, che negli ultimi tempi era molto affaticato, tanto da spostarsi su una carrozzina, continuava a occuparsi dei suoi amici, con l’aiuto di molti benefattori, ci teneva ad offrire ai poveri un caffè caldo. Perché, spiegava “se un piatto di pasta riempie la pancia, il caffè scalda il cuore”.
O si serve col cuore gratuito o non serve
In un’intervista a Famiglia Cristiana, diceva: «All’inizio mi sentivo un benefattore perché davo da mangiare, poi i poveri mi hanno convertito - spiegava a Famiglia Cristiana: «Mi hanno insegnato che o si serve con cuore gratuito o non serve a niente. Se gli offro un piatto di pasta, il povero deve avvertire − dal modo in cui glielo porgo − che gli sto dando me stesso. E se vuole un caffè, perché non andare a prenderlo insieme, scambiando qualche parola? Serve un salto di qualità nella carità, mettendo al centro la persona. Fare la carità significa offrire un servizio che restituisca dignità alla persona. Se io ammasso i poveri in stanzoni senza docce o con bagni insufficienti, li tratto secondo dignità? Abbiamo tanti locali... perché non creiamo tante strutture, ma più piccole, a misura d’uomo, dove si può ricreare la persona? Il traguardo più difficile è che ogni povero riconosca la sua stessa dignità. Non dobbiamo fare dei giardini zoologici dei poveri, ma far sì che tornino a prendersi cura di sé e, dove possibile, a inserirsi di nuovo con gli altri”.
Perso il padre a 8 anni, sotto le bombe a San Lorenzo
Insomma, la sua era una carità “del cuore”, fatta solo con le offerte, e molti dei “suoi” poveri diventavano a loro volta volontari e assistenti. Sempre sorridente e gioioso, don Pietro raccontava: “Ho perso mio padre a 8 anni nel bombardamento di San Lorenzo. Mi sono occupato tanto d’immigrazione e di poveri perché anche noi abbiamo sofferto la fame, siamo stati profughi, e quando l’hai vissuto sulla tua pelle...”. Dal 1998 al 2010 è stato infatti anche incaricato dell’Ufficio per la pastorale delle migrazioni del Vicariato di Roma.
Non giudicare, per non essere giudicati
Un prete sorridente, ma di quelli che non le mandava a dire, nemmeno ai parlamentari, che però di frequente andavano da lui a confidarsi e confessarsi. A proposito di Covid, don Sigurani aveva spiegato in Tv che “tutta questa valenza religiosa che si vuol dare al non vaccinarsi è una fandonia”. Un giorno qualcuno lasciò un cartello appeso alla cancella della basilica: “Caro reverendo – si leggeva - la chiesa è la casa del Signore, non dei poveri! Risponderai davanti a Dio dei sacrilegi/profanazioni compiuti in questa chiesa”. Lui non se la prese: “Gesù ci invita a non giudicare per non essere giudicati”.
Il funerale mercoledì 6 luglio alle 18.30 a Sant'Andrea in Valle
Il Vicariato di Roma informa che il funerale di don Pietro Sigurani verrà celebrato mercoledì 6 luglio alle 18.30 nella chiesa di Sant’Andrea della Valle.
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