Beirut, il vescovo Essayan: la gente è stremata, l'aiuto della Chiesa non si è mai fermato
Antonella Palermo - Città del Vaticano
Il 4 agosto 2020, la devastante esplosione del porto della capitale libanese: più di 250 le persone che persero la vita, oltre 6mila sono rimaste ferite, 330 mila hanno dovuto abbandonare le proprie case. Un episodio che ha affossato l'economia del Paese dei cedri, in cui la verità fa fatica ad emergere e per il quale ieri all'udienza generale in Vaticano il Papa ha lanciato un appello. A Vatican News, la testimonianza di monsignor Cesar Essayan, vicario apostolico di Beirut della Chiesa cattolica latina in Libano.
Eccellenza, come vivono oggi i libanesi, le ferite sociali di quel rogo sono state sanate?
Il bilancio non è tanto positivo. Siamo tanti a cercare di sanare. Diversi feriti nel frattempo sono morti. Molte case sono state ricostruite ma il lavoro resta da fare negli anni. Diverse persone sono ancora in attesa di subire interventi di chirurgia plastica al viso per le ferite riportate. Il dramma più grande comunque riguarda il fatto della verità su quanto accaduto, si allontana sempre più. Il giudice dapprima era stato bloccato. Che abbia fatto un buon lavoro oppure no, non spetta a me dirlo. In ogni caso, questo fatto ha portato pian piano le parti politiche in gioco a dividere i genitori delle vittime in due: chi a favore del giudice e chi contro. Ciò ha ulteriormente offuscato la questione, rinviato la possibilità di capire veramente cosa sia successo. Quindi oggi arriviamo con questa profonda divisione che va purtroppo a coincidere con una divisione tra chi è cristiano e chi è musulmano.
A un altro livello, poi, ci rendiamo conto che le conseguenze dell’esplosione vanno a incidere sulla crisi economica: il poco lavoro, gente che va via per cui rimane chi sta male. C’è un’altra divisione nella popolazione: tra chi guadagna in dollari e chi in lire libanesi. Chi lavora nella funzione pubblica guadagna in lire e a malapena riescono ad arrivare a fine mese, se non vengono aiutati da parenti all’estero. Altri guadagnano con i dollari, i ristoratori. C’è poca gente che riesce a ribellarsi, perché non ha più le forze. Senza contare il rincaro dei prezzi a causa della guerra in Ucraina. E poi, ancora, non bisogna dimenticare la presenza dei siriani. Questa purtroppo sta creando tensioni con i libanesi. C’è da dire che viene diffusa una informazione sbagliata ai libanesi: molti libanesi dicono che i siriani ricevono aiuti in dollari e si arrabbiano. Ma non è vero. Di fatto, quando vai al panificio ci sono due file, i siriani da una parte e dall’altra i libanesi. Per i siriani viene tutta la famiglia, se sono in cinque, per esempio, prendono cinque porzioni. Di solito per i libanesi accade che vi si reca solo il papà o la mamma che prende una porzione sola. Sono situazioni che alimentano rancori e divisione. Niente è facile. Non si tratta solo dell’esplosione al porto di Beirut.
Ha parlato di questa crisi economica, tra le peggiori della storia libanese. A questo proposito, ci sono stati anche diversi interventi da parte di ulema della Lega Araba. Ma quanto spazio ha la comunità internazionale per sostenere il Paese e quali i bisogni prioritari della popolazione in questa fase?
Sono i bisogni di sempre, in realtà. In ogni caso, qui oggi si tratta di aiutare di aiutare la gente nei beni alimentari primari. Noi stiamo dando alle famiglie qualche cibo caldo. Poi ci sono le medicine, gli ospedali. Vediamo una tragedia enorme. Pochi riescono ad andarci, se hanno necessità, perché le spese mediche sono aumentate tantissimo, come se fossimo sull’orlo di una guerra. Poi c’è l’ambito dell’educazione. Oggi c’è bisogno di sopravvivere. L’80 percento della popolazione ormai vive al di sotto della soglia di povertà. Ed è gente che ormai è stanca. Eppure resiste. Ci sono problemi insorti come conseguenza della faccenda del porto. Noi abbiamo aperto un centro comunitario a Beirut dove abbiamo un assistente sociale, psicologhe (per adulti e bambini). Il numero di chi arriva là aumenta continuamente. Prima davamo una settantina di pasti caldi, ora ne stiamo dando trecento. Questo dico per dare un’idea. Chi viene per ricevere dei farmaci aumenta di mese in mese: 25-27-29 percento. La luce non arriva quasi mai, tutto dipende dal funzionamento dei generatori. Lo Stato lascia fare, pensa che possiamo arrangiarci da soli. La popolazione non compatisce lo Stato, vediamo insomma una oppressione mai conosciuta prima.
Ricordiamo tutti la mobilitazione per l'emergenza all’indomani dell’accaduto nel porto di Beirut, poi il silenzio è calato sui media. La Chiesa come ha proceduto? In questi due anni come ha accompagnato il popolo?
Bisogna intanto dire che la Chiesa universale non ha mai smesso di dare una mano alla Chiesa locale. Con la crisi ucraina, gli aiuti possono aver subìto una leggera inflessione, ma le agenzie che dipendono dalla Chiesa cattolica sono sempre presenti sul territorio libanese e si stanno dando da fare in un modo molto molto bello. Bisogna ringraziare sia il Santo Padre, sia la Segreteria di Stato, sia la Congregazione per le Chiese Orientali che stanno spingendo tutti per monitorare la situazione. C’è sempre chi aiuta, anche con denaro contante per sostenere gli istituti educativi, per esempio. L’Oeuvre d’Orient in Francia, Aiuto alla Chiesa che Soffre, l’Ungheria come Paese stanno aiutando molto per ciò che riguarda, per esempio, l’approvvigionamento dell’energia attraverso le tecnologie solari. Ciò è di aiuto per le scuole, gli ospedali. Personalmente posso dire che, sebbene il Vicariato apostolico dei Latini non sia ricco, anzi è povero, dagli aiuti che continuiamo a ricevere riusciamo ad aiutare a nostra volta tante tante persone.
Oltre mille pacchi alimentari al mese, 300 kit igienici, 300 pasti alla settimana a Beirut. Siamo riusciti ad ottenere una clinica mobile che va al nord e al sud, tra i campi dei profughi siriani, per visitare soprattutto i bambini. C’è insomma un piccolo miracolo che si chiama la Chiesa. Io dico a tutti che sono molto pessimista ma c’è un piccolo miracolo che si attua con le mani tese della Chiesa in questo terribile momento. È molto bello. Ci dice: io non vi lascio soli. Il Signore non ci lascia mai soli, ci precede, ovunque. Devo anche aggiungere che Papa Francesco, il grande profeta dei nostri tempi, con la chiamata a questo cammino sinodale ci aperto delle strade che hanno permesso una condivisione che prima non vivevamo. Ci ha fatto scoprire che, anche se a vari livelli abbiamo perso dei valori, stanno affiorando con chi stiamo vicino, adesso. Sono i valori che ci fanno crescere: il libanese, prima di entrare a casa propria, apre il pacco viveri davanti alla casa del vicino, condivide con lui perché è nel bisogno come lui. Sono cose splendide. Forse i nostri ‘grandi’ hanno perso la bussola, ma i più poveri mai. È una grande lezione di oggi.
Qualche giorno fa un rogo ha rischiato di far scomparire i silos distrutti che erano al porto e i cui resti sono diventati un po’ il simbolo di quanto accaduto due anni fa: il rischio è che si voglia cancellare ogni traccia e dimenticare il Paese e la grave situazione che c'è?
Può darsi, perché il grande problema del Libano è che non si riesce a fare verità, ad assumersi le proprie responsabilità, a dire: va bene, abbiamo sbagliato e chiediamo perdono. Non possiamo sempre dire: facciamo come se non fosse successo niente, amnistia per tutti, i corrotti rimangano al potere. No. I parlamentari indipendenti, quelli nuovi, diciamo, hanno voluto che i silos siano salvaguardati come simbolo non solo dell’esplosione, ma di tutta la violenza nel mondo. Il grano è il cibo fondamentale per ognuno. Ma c’è gente che non capisce niente e vuole distruggere tutto. Forse accadrà pure, ma un giorno la verità ci raggiungerà tutti.
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