Giustizia e Pace Europa visita l'Ucraina: unire all'aiuto appoggio umano e preghiera
Tiziana Campisi – Città del Vaticano
Solidarietà al popolo ucraino e ai rifugiati residenti all'interno di alcuni Paesi dell’Unione Europea dalla presidenza di Giustizia e Pace Europa - la rete europea delle 32 Commissioni nazionali Giustizia e Pace incaricate dalle rispettive conferenze episcopali di esprimersi sulla povertà, la difesa dei diritti umani, la pace, la riconciliazione, lo sviluppo e la cura del creato - in visita in Ucraina nei giorni scorsi. I due copresidenti, monsignor Antoine Herouard, arcivescovo di Dijon e primo vice-presidente della Comece, e Maria Hammershoy si sono recati a Lviv su invito del presidente della Commissione per la famiglia e la società della Chiesa greco-cattolica ucraina Yuriy Pidlisny, e, oltre ad avere incontrato l'arcivescovo greco-cattolico Ihor Vozniak, i vertici dell'Università cattolica ucraina e il presidente della Caritas Tetiana Stawnychy, hanno potuto constatare i vari danni causati alla città dagli attacchi missilistici russi.
La delegazione di Giustizia e Pace Europa ha avuto modo di appurare quanto la quotidianità della gente sia cambiata a causa della guerra, ha preso parte a momenti di preghiera e ha visitato il cimitero militare, come spiega a Vatican News monsignor Herouard.
Monsignor Herouard, di fronte a quale realtà vi siete trovati in Ucraina?
Il nostro viaggio ha avuto due tappe. La prima a Berlino con lo scopo di incontrare i rifugiati ucraini in Germania e capire meglio la loro situazione. Abbiamo potuto ascoltare delle testimonianze e soprattutto anche avere un momento di preghiera molto intenso, molto forte, davanti all'ambasciata di Russia a Berlino. Milioni di ucraini hanno dovuto lasciare il loro Paese e hanno il desiderio profondo di tornare, in un giorno non troppo lontano, a casa. La seconda tappa è stata Lviv, nell'ovest dell'Ucraina, che è assai lontana dalla linea di combattimento. Qui, apparentemente, si può pensare che la vita sia normale, però si sente che la gente segue quanto accade in guerra. Abbiamo visto anche edifici che sono stati bombardati, ci hanno mostrato il cimitero e accanto un grande campo enorme con centinaia di tombe di soldati che sono morti in questi due ultimi anni. Erano tutte molto decorate, con delle candele, delle bandiere, dei fiori. Attraverso questa visita la guerra è divenuta anche per noi una cosa molto concreta. Non è una idea, non è un combattimento politico, ma è la vita e la morte della gente.
Che cosa l'ha più colpita?
Per prima cosa questa realtà concreta della vita che abbiamo vissuto fortemente andando al cimitero. Ho notato, ad esempio che alla fine della giornata la gente che esce dal lavoro, dall'ufficio, prima di rientrare a casa si ferma lì a pregare, sulla tomba di qualcuno che conosce. Questo è molto forte. Altra cosa che mi ha colpito molto è il fatto che tutti quelli che abbiamo incontrato, le persone con le quali abbiamo parlato, ci hanno detto che l'impegno per la vittoria dell'Ucraina e il combattimento per la libertà, per la democrazia, lo stato di diritto, e tutti i valori che cercano di promuovere e di vivere nel loro Paese, non si può andare indietro e quindi che il loro combattimento durerà fino al momento in cui il Paese sarà liberato. Riguardo alla gente, e alla loro quotidianità, al primo sguardo si vede una vita quasi normale, c’è chi va a lavorare, chi va al mercato, però si sente anche che la vita non è come quella di una volta. Per esempio Lviv era una città molto turistica prima della guerra e adesso non c'è nessun turista. E poi c'è anche la minaccia dei bombardamenti. Quando siamo arrivati, la prima cosa che ci hanno mostrato, prima di indicarci la camera dove avremmo dormito, è stato il luogo andare in caso di emergenza, di bombardamento. Quindi questa realtà della guerra rimane sempre presente nella vita della gente.
Avete incontrato diversi rappresentanti della Chiesa, della Chiesa greco-cattolica, della Caritas, di che cosa c'è più bisogno in Ucraina?
Anche se l'Ucraina ha bisogno di aiuto molto concreto, è molto importante l'appoggio umano, la prossimità, la preghiera, la fraternità, in questo momento. La Caritas fa un grande lavoro e ha un'ottima organizzazione, ma i bisogni sono enormi. Si deve pensare che il 40% della popolazione ha dovuto lasciare la sua propria casa, sia andando fuori dal Paese, come rifugiati in altri Paesi europei, soprattutto in Polonia, in Germania e altri Paesi dell'Est europeo, sia all'interno dell’Ucraina. Molta gente che viveva nell'Est è dovuta andare nell'Ovest. Servono aiuti materiali, cibo, luoghi di accoglienza, ma serve anche l'aiuto psicologico, l'aiuto umano, perché il trauma è molto forte per tanta gente. La Caritas ha calcolato, più o meno, che da due anni sono state aiutate più di 3 milioni di persone. È una cosa enorme e quindi hanno anche bisogno dell'aiuto di altri Paesi su questo aspetto umanitario.
Il 24 febbraio saranno due anni dall'inizio della guerra in Ucraina, cosa si può fare per porre fine al conflitto con la Russia?
È difficile perché dal punto di vista umano non si vede la fine. Penso che sono state fatte tutte le pressioni possibili da parte dei Paesi occidentali sulla Russia, sia a livello diplomatico che a livello economico, e sono importanti. I nostri amici ucraini ci hanno detto di continuare, però si vede che il futuro della guerra e la possibilità di trovare un cammino di pace dipende anche dai dirigenti. E quindi c'è anche un appello alla coscienza: non si può continuare così. Alla determinazione degli ucraini, che abbiamo sentito molto forte, dobbiamo rispondere, forse chiedendo ai russi di rispettare la dignità e l'integrità del Paese vicino.
L’impegno della Chiesa in Ucraina
Dopo aver lasciato Lviv, la delegazione di Giustizia e Pace Europa è stata ricevuta a Przemysl, in Polonia, vicino al confine ucraino, dall'arcivescovo Adam Szal e dal suo predecessore monsignor Josef Michalik. Come ricordato da monsignor Herouard, la visita in Ucraina è stata preceduta da un incontro con i segretari generali nazionali delle Commissioni che fanno parte della rete Giustizia e Pace svoltosi a Berlino dal 9 all'11 febbraio, nel corso del quale sono stati ascoltati alcuni rifugiati. In un comunicato pubblicato al termine della tre giorni si sottolinea che l'invasione russa dell'Ucraina, “con bombardamenti terroristici contro la popolazione civile, crimini di guerra e una brutale occupazione, ha costretto oltre 6 milioni di persone a lasciare la propria patria e a cercare rifugio all'estero”, mentre si contano 3,6 milioni sfollati interni, e che a due anni dall’inizio della guerra “la Federazione Russa non ha smesso di infliggere sofferenze e morte alla popolazione ucraina”. Da qui l’invito a sostenere gli ucraini “che rischiano la vita anche per la libertà e la sicurezza del resto dell’Europa”. Nel comunicato viene accolta “con grande favore la decisione del Consiglio europeo di aprire i negoziati con l'Ucraina sull'adesione all'UE”, con l’auspicio che “questo processo porti anche a un rafforzamento delle relazioni culturali, economiche e personali”. I segretari generali delle Commissioni di Giustizia e Pace esortano, inoltre, ad offrire aiuto e accoglienza ai rifugiati, perché vengano integrati dai Paesi ospitanti, e ricordano, come dice Papa Francesco nell’enciclica Fratelli Tutti, che “l’amore non si preoccupa se un fratello o una sorella bisognosi vengono da un luogo o da un altro”. Infine si sollecitano “tutti i mezzi diplomatici disponibili a livello di cooperazione multilaterale” perché la Federazione Russa “ponga fine allo spargimento di sangue e alle sofferenze” e interrompa i suoi “attacchi alle fondamenta del diritto internazionale, dei diritti umani e dell'ordine di pace internazionale”.
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