Il vice parroco di Gaza: "Malgrado la disperazione, Cristo è risorto. Anche qui"
di Roberto Cetera
Padre Yusuf Asad, 49 anni, egiziano di Asyut, sacerdote dell’Istituto del Verbo Incarnato, è da cinque anni il viceparroco della parrocchia della Sacra Famiglia a Gaza. Il 7 ottobre scorso il parroco, padre Gabriel Romanelli, si trovava fuori di Gaza per acquistare dei medicinali e non è più potuto rientrare in sede; da allora padre Yusuf guida la piccola comunità cristiana di Gaza che da ormai quasi sei mesi vive asserragliata nei locali della parrocchia.
Padre Yusuf, com’è la situazione della vostra comunità in questi giorni di preparazione alla Pasqua cristiana?
È una situazione brutta, inutile dirlo. Per quanto molti di noi si sforzino ad ostentare una certa serenità la situazione è sempre più difficile. Manchiamo di tutto. I prezzi delle poche cose che ancora riusciamo a trovare sono alle stelle: un chilo di pomodori arriva a 100 shekel (circa 28 euro), il diesel per far funzionare i generatori di corrente costa 1200 shekel per 16 litri (circa 340 euro). Mangiamo qualsiasi cosa riusciamo a trovare, anche se si tratta di generi alimentari ormai scaduti.
Ma la cosa che più ci assilla è sicuramente il non sentirci sicuri, e sapere che non c’è alcun luogo sicuro in tutta la Striscia. Anche oggi è stato bombardato qui vicino un museo che conserva reperti archeologici; solo poche centinaia di metri da noi. La gente ha paura ad uscire dalla chiesa perché, anche se necessario, li espone al rischio di essere colpiti a morte. La cosa che più ci tormenta è che nessuno sa quanto tutto questo durerà ancora.
Quanti siete ora lì dentro?
Siamo circa 550 dentro al compound della parrocchia. Tanto della nostra comunità quanto di quella ortodossa, che, dopo il bombardamento della chiesa di San Porfirio, si è trasferita qua. E poi ci sono i bambini assistiti dalle suore di Madre Teresa, che sono gli unici ospiti musulmani del compound. Finora abbiamo avuto 31 morti tra i cristiani. Due, madre e figlia, sono state uccise - ricorderete - dentro il compound. Un’altra, un’anziana professoressa di musica, è stata uccisa per strada, mentre dalla chiesa cercava di raggiungere la sua vecchia casa. E poi tutte le vittime del bombardamento israeliano sulla chiesa greco-ortodossa. A questi vanno aggiunti anche coloro che sono morti perché, già malati, sono stati impossibilitati a ricevere delle cure. Tra i bambini malati che assistiamo regolarmente ne sono già morti sette dall’inizio della guerra. Mancano i medicinali per chi ha il diabete, per chi soffre di ipertensione. La forzata promiscuità tra così tante persone rifugiate in chiesa ha poi determinato il facile diffondersi di diversi virus, sia influenzali che intestinali, alcuni anche in forme gravi. Quando riusciamo a trovare dei medicinali ovviamente li condividiamo, anche con gli abitanti musulmani che vivono intorno al perimetro della parrocchia.
Avete una qualche assistenza medica?
Tra i rifugiati ci sono anche alcuni medici. E poi arrivano dei supporti attraverso la Caritas, il Patriarcato Latino e le Organizzazioni di Volontariato presenti. Anche se ormai ne sono rimaste poche qui al nord dove ci troviamo noi, perché i maggiori assembramenti di rifugiati ora sono al sud e a Rafah. E poi già prima della guerra avevamo realizzato un dispensario qui in parrocchia: quel poco che abbiamo lo distribuiamo a chiunque ci richieda farmaci. Per il cibo, oltre a quello che ci portano i volontari, vale il principio che chi trova qualcosa, delle patate, un po’ di latte, lo condivide con tutti. La precedenza è sempre data ai bambini. Finora, ringraziando Dio, la protezione della Sacra Famiglia, di Maria e Giuseppe, non ci ha fatto mancare l’essenziale per sopravvivere. Riusciamo a cucinare tre volte a settimana, e ora, anche senza elettricità ma con il forno a legna, riusciamo a fare il pane ogni giorno, anche se la farina è costosissima. Perciò il pane lo riusciamo a fare solo per i rifugiati interni alla parrocchia.
Quando finirà tutto, quale Gaza riesci ad immaginare?
Una Gaza di sabbia. Una lunga striscia di sabbia. Perché tutto è stato distrutto. Nessuna struttura, nessuna scuola, nessuno ospedale ha resistito alla furia dei bombardamenti. Le reti dell’energia, del gas, dell’acqua: tutto distrutto. Bisognerà ricominciare a costruire tutto da zero. Con la grande incognita che non sappiamo chi poi deciderà di rimanere in questo deserto di rovine. In tanti hanno perso la speranza e la fiducia e se ne andranno. Anzi, se ne sarebbero già andati se fosse stato possibile.
Come sarà celebrato il Triduo a Gaza?
Anche se stiamo vivendo le giornate più tragiche di tutta la storia di Gaza, le celebrazioni liturgiche le svolgeremo normalmente, e le abbiamo preparate anche con più dedizione che negli anni passati. Sicuramente non potremo fare una Via Crucis esterna come negli anni passati. Ed è inutile che ti dica che ovviamente il giorno di Pasqua non ci sarà carne nei nostri banchetti. Un chilo di carne costa 100 dollari… Per la festa di San Giuseppe, che è il patrono della nostra chiesa perché transitò per Gaza nella fuga verso l’Egitto, abbiamo festeggiato, come sempre nella nostra tradizione, con le fave. Ora siamo riusciti a comprare, anche se molto care, delle uova, in modo da darne due o tre ad ogni famiglia e regalarne una colorata ad ogni bambino. Ma la liturgia e i canti saranno quelli di tutti gli altri anni. Perché malgrado tutta questa disperazione Cristo è risorto. Cristo è risorto ed è insieme a tutti noi in questa terra.
E poi, pur in mezzo a tante disgrazie, abbiamo come comunità un previlegio che ci distingue: è la cura, la delicatezza che ci offre il Santo Padre che ci telefona ogni sera alle 20.00. Ci chiede come stiamo, ci mostra la sua vicinanza, la sua preoccupazione, la sua preghiera, la sua benedizione. Il suo amore per questa povera gente, il suo impegno perché questa assurda guerra finisca presto. Mi piace, per una volta, restituire la sua gentilezza e potergli fare, qui, sul suo giornale, gli auguri di Pasqua. Cristo è risorto. E noi risorgeremo con lui.
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