Un artista senza nome il primo a raffigurare San Francesco, a Perugia mostra sul "Maestro"
Maria Milvia Morciano e Francesca Sabatinelli – Città del Vaticano
Chi ancora si aggrappa al preconcetto che il Medioevo sia stato un periodo storico buio sarà smentito dalla luce che lo investirà visitando la mostra in corso presso la Galleria Nazionale dell’Umbria a Perugia dal titolo “L’enigma del Maestro di San Francesco. Lo stil novo del Duecento umbro”. La luce dell’oro che fa da fondale alle figure e che decora le croci, ma anche quella dei volti, dello splendore delle vesti e delle decorazioni dimostra una ricchezza artistica di altissimo livello che non può essere disgiunta dalle altre esperienze culturali del periodo. Una mostra che ancora una volta dimostra la fecondità del Duecento, con la nascita di linguaggi artistici nuovi – da qui “lo stil novo” del titolo - che vanno ad affiancarsi e ad illustrare il fiorire spirituale dei santi, primo tra i quali Francesco di Assisi. E ancora l’Umbria, una regione non appartata ma snodo della comunicazione tra i luoghi e sintesi tra Oriente e Occidente. La luce che riverbera da queste opere è morbida, mai accecante. Mai semplicemente decorativa, capace di suggerire un’idea di pace e silenzio, di raccoglimento.
La prima mostra monografica dedicata all'artista
Curata da Andrea De Marchi, Veruska Picchiarelli ed Emanuele Zappasodi, la mostra rientra nell’ambito delle celebrazioni per l’ottavo centenario dall’impressione delle stigmate a San Francesco. Visitabile fino al prossimo 9 giugno, è la prima monografica su questo artista dal nome sconosciuto: sessanta capolavori tra quelli già conservati a Perugia e nel circondario, specie Assisi, e alcuni prestati dalle più importanti istituzioni museali al mondo, dal Louvre di Parigi alla National Gallery di Londra, dal Metropolitan Museum di New York alla National Gallery di Washington.
Un percorso ricchissimo che riesce a ricostruire la pressoché totalità delle opere del Maestro e tracciare il percorso artistico della sua vita.
Un titolo seducente: L’enigma del Maestro
Costantino D’Orazio, da gennaio direttore della Galleria perugina, spiega ai media vaticani il motivo del titolo della mostra che affonda radici non nel mistero ma in precise ragioni storiche: si tratta di “un nome convenzionale che è stato dato dagli storici dell'arte dopo aver analizzato quella che è la prima tavola da lui dipinta, all'inizio della sua carriera con il primo ritratto realistico di San Francesco. Non conosciamo il suo nome, malgrado sia stato il più grande pittore del centro Italia nel Duecento, prima di Cimabue e di Giotto. Non ci è arrivata alcuna traccia di un contratto firmato, né una ricevuta di pagamento, spiega D’Orazio, che continua: “Non c'è traccia del suo nome, malgrado qui in Galleria custodiamo tante delle sue opere, anche monumentali. E il fatto che gli siano state commissionate queste opere enormi ci dice che doveva essere un artista particolarmente importante, particolarmente stimato. Nella mostra tentiamo di risolvere questo enigma”. E il direttore aggiunge quello che davvero è un piccolo “mistero”: “Chi è realmente il Maestro di San Francesco? I curatori sono addivenuti a delle ipotesi che non vi rivelo però, perché dovete venire a vedere la mostra”, conclude D’Orazio. E un invito viene anche da Fra Marco Moroni, custode del Sacro Convento di Assisi, a vedere la mostra e passare anche da lì, non soltanto per ragioni turistiche e culturali ma anche per “incontrare Francesco che qui è sepolto, incontrare Francesco attraverso la nostra presenza che facciamo in modo e vogliamo che sia davvero accogliente e testimoniante lo spirito francescano”.
Una rivoluzione artistica: lacrime che si vedono
“Nel Duecento in Umbria avviene una rivoluzione artistica”, dice Costantino D’Orazio, “che è legata agli affetti, cioè al ritorno delle emozioni, degli affetti, degli scambi, anche di emozioni e sentimenti. Tra i personaggi, e quelli dipinti dal Maestro di San Francesco, sono le prime figure che riprendono a toccarsi. Si toccano le mani. Sono scene commoventi quelle tra San Giovanni e la Madonna sotto la croce. Sono le prime figure in cui le pie donne piangono realmente, mostrando il pianto sul loro volto. Dopo la grande epopea bizantina, che aveva raffreddato in modo l'iconografia, ecco che con il mito di San Francesco e i suoi compagni di strada si torna ad ammirare di apprezzare le emozioni, i sentimenti e gli affetti”.
Il forte legame tra il Sacro Convento e il Museo perugino
“Abbiamo firmato una convenzione alcuni anni fa, che è stata firmata con l'allora direttore e che vogliamo mantenere. L'attuale direttore D'Orazio ci tiene molto e anche noi ovviamente ci teniamo qui ad Assisi. In Basilica abbiamo opere che non sono asportabili, gli affreschi, e anche altri oggetti preziosi, alcuni dei quali sono esposti in questo momento nella mostra di Perugia. C'è quindi questo forte legame che tenderemo a rafforzare sempre più, perché abbiamo dei beni da mostrare alle tante persone che vengono e che vogliamo davvero valorizzare. Sono davvero delle reliquie, potremmo dire dei primi tempi francescani, che sono preziose e possono, dal punto di vista artistico, parlarci di Francesco in un modo molto bello. L'aiuto della Galleria Nazionale dell'Umbria in questo senso è fondamentale”, conclude Fra Moroni.
Una festa di colori
La mostra “intende raccontare questo straordinario protagonista dell'arte del Duecento, questo maestro che insieme a Giunta Pisano e a Cimabue, di cui invece conosciamo i nomi, è stato il più dotato, talentuoso, raffinato maestro della pittura del XIII secolo e lo raccontiamo a partire da quelli che sono gli elementi da cui trae ispirazione, a iniziare da opere che rappresentano benissimo l'influsso dell'arte orientale, dell'arte bizantina nel nostro Paese, come ad esempio la Stauroteca di Cosenza, oppure dei codici miniati che provengono da quei centri straordinari di commistione culturale che sono state le capitali dei regni latini d'Oriente in Terrasanta durante il periodo della dominazione occidentale in quelle terre”: la passione e il giusto orgoglio per i risultati ottenuti dalla mostra traspaiono da ogni parola di Veruska Picchiarelli, una dei tre curatori. Le ricostruzioni virtuali inserite nel percorso dell’esposizione permettono di vedere le parti distrutte dagli ampliamenti successivi delle cappelle laterali nella Basilica inferiore di Assisi, le Storie di San Francesco e le Storie della Passione di Cristo. “Una festa di colori, perché sono completate da volte in un blu molto intenso, innervate da costoloni, che sono un caleidoscopio di motivi decorativi, di motivi ornamentali, tutti diversi l'uno dall'altro”, conclude la curatrice.
Gli allievi oltre al Maestro
In mostra ci sono anche i “più importanti allievi del maestro di San Francesco e fra questi spiccano il Maestro di Santa Chiara, il Maestro del Trittico Marzolini, pittori che sviluppano ancora l'insegnamento del Maestro di San Francesco. Nel maestro di Santa Chiara, ad esempio, l'espressività, l'emozione intensa si traducono in forme altrettanto intense, con colori estremamente forti e accostamenti arditi, molto moderni. Il Maestro del trittico Marzolini è invece un campione della cosiddetta lingua franca, e cioè di quel linguaggio artistico, di quel gusto in cui Oriente e Occidente si incontrano. Nell'Umbria del Duecento è possibile anche grazie al vero e proprio ruolo di crocevia svolto dalla regione, con la presenza del cantiere della Basilica di San Francesco e l'incontro in questo crogiuolo straordinario di esperienze fra maestri che provengono dalla Germania o dalla Francia e che lavorano alle vetrate, maestri che vengono dall'Inghilterra che lavorano agli affreschi e alle pitture della Chiesa superiore e ancora suggestioni provenienti dall'Oriente. Un'esperienza straordinaria dal punto di vista culturale e sociale, che si traduce in un'arte ricercatissima, raffinatissima, di estrema bellezza”, conclude Veruska Picchiarelli.
Spiritualità francescana allo stato sorgivo
E sulla figura sconosciuta del Maestro umbro si sofferma Fra Moroni “è uno tra i primi autori, se non il primo, che rappresenta Francesco negli affreschi qui in Basilica, quindi è molto vicino al Francesco delle origini e anche al pensiero su Francesco perché sappiamo che al di là di ciò che è stata la sua vita, sono cominciate subito delle narrazioni che in parte divergono, anche nei modi di rappresentarlo, che sono differenti tra di loro. Così, come ci sono i quattro Vangeli che ci raccontano Cristo in modo diverso, anche le narrazioni e i dipinti su Francesco ce lo raccontano in modo diverso. Qui siamo molto vicini alle origini: il Maestro di San Francesco ci fa conoscere la spiritualità francescana proprio allo stato sorgivo. Ci racconta di un Francesco che già viene interpretato, viene visto come l’alter Christus. È molto evidente nella Basilica e ad Assisi, dove gli affreschi che rappresentano la vita di Francesco si trovano esattamente di fronte agli affreschi che rappresentano la Passione, Morte e Risurrezione di Cristo”.
Francesco si rispecchia in Cristo, ma “piccolino piccolino”
Fra Marco continua: “C'è questo abbinamento, c'è questa spaccatura: Francesco che si rispecchia in Cristo. Erano gli anni, quelli del Maestro di San Francesco, in cui si cominciava a parlare appunto di Francesco alter Christus e per noi è molto importante dire che Francesco è stato colui che ha vissuto interamente legato a Cristo ed è arrivato ad assomigliargli in maniera precisa, totale. Penso anche a un altro elemento: il Crocifisso di San Francesco al Prato di Perugia, opera del Maestro di San Francesco, riporta in basso il poverello di Assisi che accarezza e bacia i piedi di Gesù. Piccolino, piccolino come Francesco amava definirsi. ‘Io, Francesco, piccolino’ e questo induce pensare a quanto amore portava per Cristo. Mi sembra che tutto questo sia rappresentato molto bene dal Maestro di Francesco”, conclude il custode del Sacro Convento.
Gli eventi per l'ottavo centenario dall'impressione delle stigmate a San Francesco
Fra Marco Moroni delinea il ricco calendario che accompagneranno la celebrazione dell’importante anniversario: “Molti sono vissuti soprattutto in Toscana e nel luogo delle stimmate che è la Verna. Però poi in giro per il mondo noi frati francescani dei vari ordini e quanti ci sentono dentro la spiritualità francescana stanno portando avanti iniziative diverse. Da parte nostra, qui al Sacro Convento, per esempio, la predicazione quaresimale è stata tutta incentrata su questo tema. Stiamo tenendo altri momenti, ci sarà una conferenza con tutta probabilità proprio la serata della Festa delle stimmate, il 17 settembre. Un oratorio in cui si si canterà e si parlerà di questo tema. Cerchiamo insomma anche nella vita quotidiana e nella predicazione, incontrando i numerosi pellegrini devoti ma anche i turisti che passano per Assisi, di trasmettere i contenuti di questo centenario che è davvero significativo e ci prepara al centenario della Pasqua di Francesco che celebreremo fra due anni”.
Oltre la mostra, tre luoghi da non perdere
E ampliando lo sguardo ai luoghi che girano intorno alla mostra di Perugia, il direttore della Galleria D’Orazio suggerisce alcuni itinerari: “La Rocca Flea che si trova a Gualdo Tadino, da cui proviene un crocifisso eccezionale. L'Umbria ha un suo fascino architettonico straordinario con le sue mura e le scale che si arrampicano di piano in piano, ma anche una collezione meravigliosa che va dalle pale d'altare dei pittori, in particolare del Duecento, fino ad arrivare alle ceramiche smaltate e a lustro, caratteristica tecnica quest’ultima, molto frequentata in quel di Gualdo Tadino. Per la prima volta è uscita dalla Basilica di Santa Chiara di Assisi, per essere esposta nella mostra di Perugia, una pala dedicata appunto a questa santa meravigliosa con i racconti degli episodi della sua vita. Quando si visita Assisi andare anche alla Basilica di Santa Chiara è sicuramente un'opportunità per accrescere non solo l'esperienza spirituale che Assisi offre, ma soprattutto per vedere sotto questo profilo questa donna eccezionale che ha saputo, lo dico forse anche in un modo molto moderno, non farsi oscurare dalla grandissima luce, dalla grandissima presenza di San Francesco, ma ha trovato il suo carisma che è ancora molto visibile e presente all'interno della Chiesa”, spiega D’Orazio. E continua: “E poi un terzo luogo che vorrei suggerire è il Monastero di Santa Giuliana, un’architettura che parte appunto dal Duecento perfettamente conservata perché oggi è custodita dall'Esercito italiano e ospita la Scuola di lingue estere dell'Esercito Italiano, che però la apre su richiesta per visite guidate. La apriremo anche noi nel weekend dedicato al Duecento umbro che si svolgerà nella seconda metà di aprile. È un luogo molto interessante perché, sebbene ancora oggi conservi affreschi del Duecento in situ sulle pareti dove sono stati dipinti, è però un luogo vivo: ci sono studenti militari ufficiali che da tutto il mondo vengono a Santa Giuliana per imparare l'italiano ma anche le lingue che poi saranno loro utili nelle missioni internazionali".
La Galleria Nazionale dell’Umbria, uno scrigno di tesori
Chiediamo ancora al direttore della Galleria di indicare alcune opere “imperdibili” nel percorso espositivo, oltre alla mostra in corso sul Maestro di San Francesco: “Le tappe fondamentali del percorso della nostra collezione permanente sono molto precise perché, superata la prima parte che in parte che in questo momento è anche presente nella mostra dedicata al Duecento, troviamo un appuntamento fondamentale in Gentile da Fabriano con la sua Madonna con Bambino che è una Madonna che noi definiamo 'sonora' perché gli angeli che l'accompagnano tengono anche uno spartito alla base del trono della Vergine che abbiamo anche rimesso in musica. Quindi si può vedere l'opera, ma anche ascoltare il canto gregoriano che l'accompagna. Dopo poche sale ecco lo straordinario polittico di Beato Angelico, il Polittico Guidalotti, in cui questo straordinario frate domenicano sa rivoluzionare l'arte da Duecento. Attraverso l'uso dell'oro, si entra dentro lo spazio rinascimentale, che è quello che poi è ancora ribadito dalla meravigliosa e monumentale Pala di Piero della Francesca, in cui l'Annunciazione nella cui parte alta avviene all'interno di una galleria architettonica che non ha nulla da invidiare a quella che poi, magari due secoli dopo, Borromini realizzerà a Palazzo Spada a Roma”. E infine il direttore cita l’artista “di casa” nella Galleria, che non può che essere il Perugino maestro del Tre-Quattrocento, del quale “noi custodiamo la maggior parte delle opere presenti in una collezione pubblica. Chi vuole approfondire la conoscenza del Perugino deve venire qui, dove c’è il seme che ha messo nella terra, poi fiorito con Raffaello”, conclude D’Orazio che pone ancora l’accento sull’ultima stanza del museo che è dedicata al Novecento. Il museo attraversa otto secoli e arriva fino agli anni 2000. Questa è una sala particolare, perché a rotazione espone opere diverse. In questo momento gli omaggi sono riservati a Burri, grandissimo maestro del Novecento umbro, e a Gerardo Dottori, di cui abbiamo un commovente tramonto”.
L'arte, chiave per capire un luogo e la sua gente nella storia
L'occasione della mostra offre lo spunto al direttore Costantino D’Orazio per guardare al futuro e condividere qualche idea, visione, progetto di quello che è il suo più grande desiderio per il museo: “Vorrei che chi venisse a Perugia e quindi a visitare questa galleria poi ne uscisse sapendo che cos'è l'Umbria, avendone scoperto l'anima, perché questa è una Regione ricchissima di tanti diversi contributi all'umanità alla storia passata ma anche a quella contemporanea. Oltre ad essere un museo con una meravigliosa successione di capolavori, penso che sia giusto lavorare a fare in modo che questa passeggiata all'interno di queste 39 sale siano anche utili a capire il carattere del popolo umbro, i contributi che l'Umbria ha dato alla storia, l'anima del suo paesaggio. Tutto questo può essere fatto attraverso l'arte e forse solo attraverso l'arte”, conclude il direttore.
Arrivare a fare buona comunicazione museale
Di cosa ha bisogno un museo per arrivare alla sensibilità, al cuore, e allo stesso tempo favorire l'acquisizione della conoscenza e un buon apprendimento dei visitatori? D’Orazio non ha esitazioni: “Ha bisogno di due cose: parole semplici e nuove tecnologie. Le parole semplici sono quelle che permettono a chi lo visita di non sentirsi mai impreparato e stupido. Ed è il grande errore che la cultura commette spesso, cioè presentarsi in un modo talmente tecnico e complesso da respingere la passione che il pubblico manifesta. Quindi parole semplici, accoglienti scritte con una dimensione che non ne renda complicata la loro fruizione. E infine, le nuove tecnologie che sono dal video all'intelligenza artificiale. Sono strumenti che permetteranno ai nostri musei di sopravvivere perché sono quelle le piattaforme su cui noi potremo incontrare i giovani”.
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