Un momento del Giubileo nella Penisola arabica Un momento del Giubileo nella Penisola arabica

Il vicario apostolico dell'Arabia del Nord: "Il nostro Giubileo, una grande grazia"

Concluso nella Penisola arabica l'anno dedicato ai santi Areta e compagni martiri, monsignor Berardi esprime gioia e soddisfazione per l'evento che ha coinvolto migliaia di persone: "Il sacrificio di chi ha perso la vita per la fede ci chiama ad essere testimoni del Vangelo in una terra dove il cristianesimo è minoranza". Unità e rispetto delle tradizioni le prossime sfide dei cristiani del Vicariato

Federico Piana - Città del Vaticano

Nella penisola arabica ricordare il martirio di uomini e donne che esattamente 1500 anni fa rifiutarono di rinnegare Cristo e la sua Croce non è stato solo un evento storico ma anche qualcosa di potente che riguarda l’attualità della fede e della vita ecclesiale locale. Il grande giubileo apertosi nel 2023 e dedicato alla memoria dei Santi Areta e compagni sterminati nel 523 da un re cristiano convertito all’ebraismo a Najran — località che oggi fa parte dell’Arabia Saudita e porta il nome di al-Ukhdūd — per un anno ha coinvolto in modo davvero totalizzante i due vicariati apostolici, quello del nord e quello del sud. Ora che si è chiuso solennemente da pochi giorni, il bilancio dell’evento fa dire a monsignor Aldo Berardi che «è stato un anno di grazia, gioia e riflessione».

Alle radici della fede

Lui che è il vicario apostolico dell’Arabia del nord si è entusiasmato nel vedere migliaia di persone in pellegrinaggio attraversare ogni giorno le porte sante aperte nei due vicariati e riflettere profondamente sull’essenza dell’essere cristiani. «È vero — afferma in un colloquio con i media vaticani — questa nostra zona è musulmana ma i martiri d’Arabia sono vissuti prima della fondazione dell’Islam. Per ritrovare il senso storico di questa presenza cristiana molti pellegrini sono andati anche sul luogo dell’eccidio. In occasione di questo giubileo, il Papa ci ha anche concesso l’indulgenza plenaria».

Ascolta l'intervista a monsignor Aldo Berardi

Chiesa di migranti

La definizione che monsignor Berardi dà della Chiesa nella Penisola arabica, quindi anche della sua Chiesa che guida con amore e determinazione da poco più di un anno, è quella di una realtà ecclesiale formata da «migranti e lavoratori stranieri. Insomma, una Chiesa di passaggio. Non siamo radicati, tutti quelli che vengono dalle nostre parti rimangono per qualche anno e poi ritornano ai loro paesi d’origine o emigrano in altre nazioni». E per questa “Chiesa di passaggio” riannodare i fili della storia e andare alle radici profonde della prima fondazione cristiana fatta anche di missionari che proprio da lì sono passati per andare in India o in Cina a portare la luce del Vangelo è stato essenziale: «Nei secoli, ad un certo punto, i cristiani sono spariti per poi tornare. Anche se non sono cittadini di quei Paesi, la loro presenza è importante».

La sfida dell'unità

Il vicariato apostolico dell’Arabia del nord guidato dal vescovo Berardi ha giurisdizione ecclesiale su Bahrein, Kuwait, Qatar ed Arabia Saudita, paese nel quale c’è una forte comunità cattolica ma dove non è stato possibile costruire alcuna struttura religiosa. «In generale, è una Chiesa ben stabilita che si rinnova sempre ma il numero dei cattolici rimane sempre sostanzialmente lo stesso: circa due milioni a cui vanno aggiunte altre comunità cristiane che vivono nella zona».La sfida principale che il vicario apostolico vede all’orizzonte è sopratutto una, ben delineata e, per certi aspetti, anche ardimentosa: l’unità delle comunità cristiane. «Perché essendo rappresentate tutte le lingue del mondo e tutti i riti cattolici ed essendoci poche chiese dobbiamo coabitare ed accogliere tutti esprimendo l’unità ecclesiale nella diversità delle sue espressioni».

Rispetto reciproco

La seconda sfida, spiega, «è invece quella di rispettare le tradizioni di ognuno, che venga dall’Occidente o dall’Oriente». Come fare ad essere cristiani in un mondo musulmano dove si è minoranza, per di più una minoranza di stranieri, è una preoccupazione che però non gli toglie la speranza: «Ci riusciamo soprattutto rispettando il Paese che ci accoglie, la sua la religione e mettendo in pratica il dialogo interreligioso, dov’è possibile».

L'eredità del martirio

Non entrare nel merito del dibattito politico e direttamente nella discussione sui diritti umani è una prerogativa che il vescovo ci tiene a sottolineare con decisione mettendo anche in evidenza che sul fronte sociale il suo vicariato apostolico è da sempre in prima linea: «Siamo attenti ai bisogni di tutti rimanendo in relazione con le ambasciate dei Paesi dai quali provengono i nostri fedeli, con i loro gruppi linguistici e rituali. La nostra azione d’aiuto e carità è profonda». C’è un’eredità che i santi Areta e compagni martiri hanno tramandato alla Chiesa della penisola arabica e che monsignor Berardi sente oramai come propria: «Essere testimoni della verità del Vangelo in un ambiente che nega la divinità di Gesù e la trinità di Dio. Testimoniare anche dando la vita, se necessario».

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30 ottobre 2024, 14:51