Un ramo dell'ulivo della Madonna con le sue olive bianche Un ramo dell'ulivo della Madonna con le sue olive bianche

Un ulivo per portare pace e speranza in carcere

Si chiama “Ulivo della Madonna” per le sue olive chiare, la specie secolare ritrovata due anni fa in Calabria dall’Archeoclub di Vibo Valentia e salvata dall’estinzione attraverso la piantumazione nelle parrocchie e ora anche nelle carceri del territorio. Don Michele Fortino: così si getta ponte tra dentro e fuori

Roberta Barbi – Città del Vaticano

L’ulivo, si sa, è simbolo di pace che si fa speranza, ma se si parla dell’"Ulivo della Madonna", la specie in via d’estinzione ritrovata due anni fa in Calabria dal personale dell’Archeoclub di Vibo Valentia, la simbologia si arricchisce notevolmente. “Questa specie viene riferita alla Vergine perché le sue olive sono bianche e simboleggiano la purezza e il legame con il cielo – spiega ai media vaticani don Michele Fortino, vicario generale dell’arcidiocesi di Cosenza-Bisignano – poi c’è che è una pianta secolare, la cui vita supera quella dell’uomo, perciò è anche un simbolo di saggezza”.

Ascolta l'intervista con don Michele Fortino:

Imparare a prendersi cura

Per salvare questa specie di olivo dall’estinzione, dopo il suo ritrovamento è stato messo in piedi un progetto che ne ha previsto, negli ultimi due anni, la ripiantumazione nelle parrocchie calabresi con l’aiuto di detenuti opportunamente formati nelle tecniche del giardinaggio, e ora anche all’interno degli istituti di pena del territorio. Il progetto è partito da Cosenza ed è stato fortemente sostenuto dall’arcidiocesi: “Imparare a prendersi cura di qualcosa, come una pianta, per i detenuti va oltre la formazione professionale – sottolinea ancora don Fortino – è metafora del prendersi cura dell’altro, del prossimo, ma ancora prima del prendersi cura di sé e del proprio futuro, che in carcere va curato e preparato fino a quando inizierà, al termine della detenzione. Perciò questo progetto fa anche da ponte tra dentro e fuori”.

Da detenuto a donatore

Un messaggio di speranza nel futuro è, quindi, quello che si vuole mandare, che si farà ancora più concreto quando le piante all’interno degli istituti di pena cresceranno e i detenuti, salvatori della specie in via d’estinzione, ne faranno dono al mondo: anche questa metafora del dono di sé alla società al momento del fine pena che, come si sa, è uno dei più delicati. “Quando un detenuto esce ha bisogno di trovare accoglienza, inserimento lavorativo ma ancora prima ha bisogno di fiducia da parte degli altri – racconta il vicario generale – per fortuna cresce il numero dei volontari in carcere e delle associazioni che accompagnano i ristretti in questo percorso, ma ci vuole sostegno anche a livello istituzionale”.

Un progetto tra il sociale e lo spirituale

Per la piantumazione all’interno degli istituti, i detenuti selezionati hanno dovuto seguire un corso professionale di potatura, innesto e creazione di questa varietà, che in questo modo è stata salvata dalla sparizione, di fatto formandosi per un lavoro che potrebbe avere un seguito una volta usciti dal carcere: uno di quei ponti tra dentro e fuori di cui spesso parla Papa Francesco. “Bisogna creare relazioni – prosegue don Michele Fortino – il carcere non è un mondo a sé, un mondo altro, ma fa parte di questo mondo, bisogna abbattere il pregiudizio”. Un progetto, quindi, a metà strada tra il sociale e lo spirituale, dietro al quale c’è anche un obiettivo pastorale: “I cappellani sono le figure deputate a parlare di fede in carcere con i detenuti, lo fanno da sempre e lo fanno bene – conclude il vicario generale – la loro attenzione all’ascolto dell’uomo che c’è oltre il reato è la priorità e viene offerta a tutti, non solo ai cristiani”.  

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28 ottobre 2024, 11:25