Siria. Suor Marta: Ghouta in mano a estremisti. Preghiamo per tutti
Marco Guerra – Città del Vaticano
Il segretario delle Nazioni Unite Antonio Guterres ha rivolto un appello a tutte le parti in confitto in Siria, chiedendo loro di permettere l’ingresso di convogli con aiuti previsto per domani nel Ghouta orientale, popoloso sobborgo controllato dai ribelli ad est di Damasco e assediato dalle forze governative. Intanto si stringe la morsa sull’enclave dei ribelli. Secondo fonti dell’opposizione, il governo ha inviato almeno 700 miliziani lealisti sul fronte del Ghouta, mentre un portavoce del ministero degli Esteri russo ha detto che i miliziani che compiono atti terroristici “devono essere liquidati”.
I bombardamenti sul Ghouta orientale hanno finora provocato oltre 700 morti tra i civili, ma fonti locali parlano di centinaia di vittime anche tra la popolazione dei quartieri di Damasco colpiti da bombe e razzi lanciati dai ribelli. L’Unicef rende noto che, solo noi primi mesi del 2018, sono stati oltre mille i bambini uccisi in Siria.
Il messaggio delle suore trappiste
“Abbiamo saputo che i ribelli del Ghouta hanno accettato di lasciare uscire i civili però in cambio di aiuti umanitari. Questo significa che non sono liberi di uscire”, denuncia sour Marta Fagnani superiora delle trappiste Azeir, un piccolo villaggio siriano sul confine col Libano, a metà strada fra Homs e Tartus.
La piccola comunità delle religiose trappiste nei giorni scorsi aveva attirato l’attenzione sulla drammatica situazione sul terreno con un messaggio all’agenzia Fides, nel quale lanciavano un appello per la fine della guerra e ricordavano che anche la parte di Damasco controllata dal governo, visitata più volte dalle religiose, è colpita da bombardamenti che mietono vittime e impediscono ai bambini di andare a scuola.
E nuove drammatiche testimonianze, raccolte nei soggiorni a Damasco, sono state riferite ai nostri microfoni proprio da suor Marta:
R. – Incontriamo la gente e vediamo la gente soffrire, per tutte le conseguenze, come abbiamo detto: la paura, questa insicurezza di una morte che può arrivare sui civili da un momento all’altro, veramente a caso. Inoltre, c’è la fatica di questo parlare solo di un lato della vicenda, che fa pesare molto la situazione perché non c’è nessuna solidarietà per questo tipo di sofferenza che viene portata anche da questa parte della popolazione.
Lei per “questa parte” intende le zone controllate dai governativi…
R. – Sì, la parte della maggioranza, che ha diritto a essere difesa, come gli altri.
Ci sono bombardamenti da parte governo sul Ghouta però dal Ghouta, allo stesso tempo, arrivano missili, razzi, bombe sui quartieri di Damasco sotto il controllo del governo. Lei ha detto che il Ghouta, tra l’altro, è controllato da ribelli islamisti e integralisti…
R. – Ci sono diverse fazioni. I moderati sono stati subito inghiottiti da tutto quello che era già preparato da prima. Quindi ci sono diverse fazioni ma tutte più o meno estremiste.
Avete avuto notizie di persecuzioni anche all’interno del Ghouta…
R. – Abbiamo saputo, per esempio, che i ribelli del Ghouta hanno accettato di lasciare uscire i civili però in cambio di aiuti umanitari. Questo significa che i civili fanno parte delle trattative e non sono liberi di uscire. Mi sembra che questi indizi parlano chiaro.
Voi pregate per tutti, per i civili uccisi nei bombardamenti del governo, per i civili uccisi nei bombardamenti dei ribelli e persino per i jihadisti, perché nella lettera alla Fides parlate di persone che sono nel peccato che comunque devono essere salvate…
R. – La scelta del bene e del male è davvero un mistero. Quindi non ci si può rallegrare per la morte di nessuno. La morte è sempre un dramma però bisogna affrontarlo con lucidità e non ci si può schierare da una parte e dall’altra. Soprattutto non si può piangere sulla guerra senza lavorare sulle cause che vengono prima, che sono cause volute. Noi troviamo ipocrita lamentarsi della violenza quando non diciamo chiaramente quali sono le cause che originano la violenza. Poi, quando un Paese è pieno di armi e di combattenti, si combatte…
Voi denunciate ingerenze esterne; che cosa avete visto sul terreno?
R. – In questa guerra se anche ci fosse stato all’inizio il desiderio di cambiamento - e c’era - subito la situazione è sfuggita di mano: qualunque desiderio di democrazia che poteva esserci è stato subito impugnato e direi ancora prima manipolato dagli interessi esterni. E’ lì bisogna agire per la pace. Per parlare delle esperienze e non di cose sentite, noi nella nostra regione - che ormai da tre anni è in sicurezza - abbiamo visto benissimo il cambiamento quando i combattenti erano siriani e il combattimento era verso l’esercito, ma con molto rispetto verso la popolazione, da quando invece hanno cominciato a entrare i sauditi, i ceceni… Li abbiamo visti proprio in giro, nelle nostre strade… E la guerra è molto cambiata: è diventata di una violenza e di una ferocia inaudite. Sì, i combattenti esterni sono stati la maggioranza e continuano ancora ad entrare.
Voi vivete in un piccolo monastero ad Azeir, un villaggio siriano al confine con il Libano. Com’è lì la situazione e come resiste questo piccolo epicentro di speranza e fede?
R. – Abbiamo avuto dei momenti difficili fino a tre anni fa. C’à sempre un po’ di passaggio nel confine dal Libano…ormai non ci sono più combattimenti. La gente vive semplicemente, cioè continua a lavorare, a cercare di vivere. Stamattina parlavo con il nostro operaio… E’ rimasto solo lui come uomo nella famiglia: un fratello combatte ad Aleppo, l’altro combatte a Damasco… Si continua a vivere cercando di lavorare sulla coscienza delle persone. Penso che le grandi sfide saranno la riconciliazione, il perdono, il ricucire la convivenza che era veramente eccezionale in Siria e che è stata ferita gravemente.
La comunità cristiana è stata colpita da questo conflitto, molti sono fuggiti all’estero: che momento è per i cristiani?
R. – Noi siamo una piccola realtà dentro un piccolo villaggio. La nostra è una presenza soprattutto di preghiera. Parlando con i giovani, cerchiamo di far riprendere coscienza della responsabilità di restare, perché i cristiani, anche se sono una minoranza, hanno un ruolo importante. Le sanzioni hanno reso la vita dei giovani molto difficile, senza prospettive di lavoro. Però queste difficoltà aiutano a fra trovare in se stessi le forze che normalmente nel benessere non si trovano. Qualcuno sta tornando, qualcuno sta ricominciando ad aprire delle piccole imprese… Non ci sono solo le distruzioni c’è tanta vita che riprende. Certo, senza illusioni, perché c’è una generazione o due di giovani uomini che sono o morti o che sono andati all’estero, quindi tante donne che si trovano con il peso dei figli, delle famiglie… C’è moltissimo lavoro da fare ma si può fare. Piano, piano… ci vorrà molto tempo.
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