Il dramma dei 20mila profughi siriani in Giordania
Antonella Palermo - Città del Vaticano
“Gli abitanti di Daraa sono di fatto in trappola e molti degli sfollati vivono in tende sotto un sole cocente, con poco cibo, acqua e cure mediche disponibili e nel costante timore di essere colpiti. Il confine giordano è l’unica strada verso la salvezza”, ha dichiarato Lynn Maalouf, direttrice delle ricerche sul Medio Oriente di Amnesty International. Intanto un report dell’Onu, aggiornato al 28 giugno, afferma che è salito ad almeno 66mila sfollati il numero di civili siriani che dal 17 giugno hanno dovuto abbandonare le loro case nel sud-ovest della Siria. Sulla situazione riflette Mons. William Shomali, vicario patriarcale per la Giordania, raggiunto telefonicamente ad Amman.
R. - Per capire la decisione del governo giordano, occorre capire il contesto generale. Il primo punto è che la Giordania ha ora sul proprio territorio un milione e 300mila profughi siriani di cui si occupa interamente: tende, alimentazione, acqua, e tutto quello che è necessario per la vita. E questo costa alla Giordania miliardi ogni anno. Il governo dice che per mantenere questa presenza siriana non riceve abbastanza aiuto dalla comunità internazionale. Allora, aggiungerne altre migliaia vuol dire indebolire la posizione della Giordania.
Qual è la soluzione?
R. - La soluzione non è solo chiudere, ma inviare tramite il territorio giordano, o tramite società giordane di beneficenza, gli aiuti alimentari a questi profughi, rimanendo in territorio siriano. Se hanno bisogno di tende, alimentazione, acqua e medicine, questo la Giordania è pronta a offrirne; ieri ha fatto arrivare attraverso l’esercito giordano 65 camion pieni di cibo, acqua, medicine, ecc. Inoltre, la Giordania sta facendo anche una raccolta di fondi, provenienti da privati e diverse associazioni; tutti questi aiuti devono essere canalizzati dalla società hashemita di beneficenza che li invierà al popolo siriano nel Sud. Dunque la Giordania non ha una posizione totalmente negativa, perché è pronta a collaborare con la comunità internazionale e ad aiutare questi profughi, ma rimanendo, questi, sul territorio. La Giordania non può accogliere tutti coloro che soffrono per la guerra in Siria, così come anche il Libano non può farlo. La Giordania è piccola e povera; il Libano è piccolo e povero. Allora la soluzione più importante è quella di porre fine a questa guerra: guarirne le cause, non soltanto trattare i sintomi. La causa è la guerra nel Sud. Bisogna trovare una soluzione politica. Gli Stati Uniti, che nella zona sono la forza più grande, insieme con la Russia, possono chiedere a questi ribelli di partire. Se partono, la guerra si ferma, perché sappiamo che Assad vincerà al Sud, in tutti i modi. Perché allora continuare una guerra ancora un mese, con migliaia e migliaia di feriti e morti, se si può porre termine a questa guerra in 24 ore? E dunque è necessaria la soluzione politica: la Giordania sta facendo anche pressione sulla comunità internazionale per porre fine a questa guerra e curarne le cause.
Il Patriarcato come sta lavorando in questa situazione?
R. – Noi come Patriarcato stiamo lavorando tanto con i profughi iracheni sul territorio giordano che con quelli siriani. C’è Caritas Amman Giordania che se ne occupa con un budget molto grande grazie agli aiuti che riceviamo dalle Caritas internazionali e nazionali.
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