Migranti. Mare Jonio, la testimonianza di don Mattia
Francesca Sabatinelli – Città del Vaticano
L’emozione è grande, perché ognuno a bordo della nave ha una responsabilità, in quanto membro della famiglia umana, di attivarsi di fronte alla situazione di sofferenza che patiscono i fratelli e le sorelle migranti. Don Mattia, classe 1993, lo racconta dalla nave che in questi giorni sta pattugliando il Mediterraneo in direzione sud, verso la zona Sar libica. Questo giovane sacerdote, ordinato meno di un anno fa, ha fatto una scelta dettata dall’amicizia che ha con i tanti migranti incontrati tra Bologna e Modena: “ho ascoltato le loro storie, i loro racconti, i loro viaggi attraverso la Libia – racconta a Radio Vaticana Italia – ho visto la sofferenza nei loro occhi e il dolore di aver perso amici e parenti durante la traversata. L’incontro con loro mi ha spinto ad accettare l’invito ad imbarcarmi su questa nave”.
I porti chiusi sono inaccettabili
Per don Mattia ‘porti chiusi’ è uno slogan “che non ha ragion d’essere” per due motivi: “Perché non si chiudono i porti a nessuno, perché nessuno può essere abbandonato, scartato come dice Papa Francesco. E poi per una ragione di giustizia sociale, perché i migranti partono anche a causa del sistema economico occidentale che li costringe, perché l’Europa è la predona dell’Africa”.
Papa è riferimento per tutto l’equipaggio
I compagni di viaggio di don Mattia provengono da percorsi culturali completamente diversi, ci sono giornalisti, attivisti di Mediterranea, un medico di bordo, credenti e non, anche “mangia-preti”, come li definisce lui stesso, ma tutti manifestano stima e affetto profondo verso Papa Francesco, che “accomuna tutti quanti coloro che sono sulla nave e che da tutti viene percepito come punto di riferimento e padre”.
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