Gioia Bartali: mio nonno Gino, un campione dell’anima
di Filippo Simonelli
Gino Bartali beato? San Gino Bartali, magari protettore degli sportivi? Chissà come avrebbe reagito il “Ginettaccio” se qualcuno gli avesse detto una cosa del genere. Riservato com’era – uno dei suoi motti celebri era “il bene si fa ma non si dice” – avrebbe cercato probabilmente di cavarsela con una battuta… toscana!
Ma forse lui stesso - consapevole della straordinarietà e della coerenza delle sue azioni, tanto sui pedali quanto nella vita di tutti i giorni - ne aveva presentimento. “Mio nonno Gino, mentre eravamo in macchina a seguire una tappa del Giro, mi disse “di me si parlerà molto di più da morto che da vivo”. È così che lo ricorda Gioia Bartali, sua nipote, sempre più spesso in giro per l’Italia a raccontare la storia e la figura del nonno.
“Monsignor Attilio Nostro, nuovo vescovo di Mileto-Nicotera-Tropea, ha rilanciato la causa di beatificazione di mio nonno, che è già incominciata tre anni fa su iniziativa dell’ordine carmelitano” fa presente Gioia. “Nonno Gino” era, infatti, terziario carmelitano e con quel saio è stato sepolto nel 2000.
Gino Bartali era un uomo che testimoniava apertamente la fede.
Per quello che posso pensare io, soprattutto quello che ho maturato dopo la scomparsa di mio papà Andrea, il suo primogenito, ritengo che mio nonno fosse veramente in simbiosi con la sua esperienza di fede. E la bicicletta è stata lo strumento per vivere questa vicinanza a Dio, lo ripeteva sempre. Sono convinta che la storia spirituale, non solo sportiva, di Gino Bartali andrebbe conosciuta da tutti. È un testimone, e lo è ancora di più oggi nel mezzo di una grande carenza di valori. Si pensi al rapporto bellissimo con il suo amico-rivale Fausto Coppi.
Cosa può insegnare oggi la sua vicenda?
Mi diceva sempre “ricordati di essere umile”. Col tempo ha capito che non era solo il classico “buon consiglio” di un nonno. Lo stile dell’umiltà lo ha davvero distinto in maniera assoluta, pur di fronte a una storia sportiva e umana assolutamente incredibile. Non ha mai tradito la sua coerenza, fino alla fine. Non lo ha fatto da ragazzo, non lo ha fatto durante gli anni della guerra: agli stemmi fascisti ha sempre preferito il distintivo dell’Azione cattolica, anche nei momenti più ufficiali oltre che in famiglia. Ha tenuto fede ai propri principi, sempre, e questo ne fa un testimone per gli sportivi e non solo. Parlare oggi di Gino Bartali nelle scuole è importante: mio nonno è sempre stato un piccolo contadino che ha seminato. E i frutti del raccolto sono tutti suoi, io li porto solo in giro per farli conoscere ai giovani.
Umiltà e riservatezza nonostante un carattere forte: con l’impegno a “fare il bene senza dirlo” persino il suo impegno per salvare tanti perseguitati durante la seconda guerra mondiale poteva restare sconosciuto.
Ma era assolutamente coerente col suo modo di fare. Il riconoscimento come “Giusto delle nazioni”, con il suo nome incisi a Yad Vashem, a Gerusalemme, è arrivato grazie alla testimonianza di Giorgio Goldenberg, dopo anni e anni di riservatezza, appunto, e di silenzio, nonostante la nobiltà della causa che lo vide protagonista con il cardinale Elia Dalla Costa. Se ne sarebbe potuto vantare. Ma non l’ha fatto. Questi suoi gesti eroici, pure i più significativi, non li raccontava neppure a mia nonna. Avevano un rapporto di amore immenso, durato per tutta la vita. Ma alcuni suoi silenzi sugli aiuti ai perseguitati – coi documenti nascosti nella canna della bici per passare ai controlli confidando nel fatto di essere riconosciuto come il campione Bartali – li ha scelti non per nasconderle qualcosa, quanto piuttosto per tutelarla. Davvero è questo il significato di “il bene si fa ma non si dice”! Aveva un quadro di valori molto forte a cui si ispirava e poi, in fondo, se doveva rispondere a qualcuno… beh, era il Signore.
Una grande storia d’amore con la moglie Adriana, sua nonna.
Ho letto tutte le duecento e più lettere di mio nonno che mia nonna ha conservato, dal periodo del fidanzamento fino all’ultimo giorno. Confesso che una delle motivazioni che mi hanno spinto a portare avanti la causa di canonizzazione sono state proprio queste lettere. E anche quella che ha scritto a Gesù, rivolgendosi a Lui come a un amico.
Quale sarebbe stata, secondo suo nonno che in Vaticano era “di casa” - si pensi all’amicizia con Pio XII - la missione della squadra ciclistica ufficiale del Papa?
L’avrebbe vista come un’opportunità grandissima: la presenza di Athletica Vaticana nel ciclismo può testimoniare la possibilità di uno stile di vita diverso, molto vicino alla vita di fede di mio nonno. Una squadra vaticana potrebbe essere un’opportunità per tutti di crescere non solo però sotto il profilo della fede, ma anche sotto quello sportivo: serve per dare un senso diverso alla comunità e alla pratica dello sport.
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