“In Etiopia lo sanno che è Natale”: fa discutere la nuova versione di una hit per l'Africa
Fabio Colagrande - Città del Vaticano
I sessantenni di oggi si commuovono ancora riascoltandola sotto l’albero e possono affermare, senza tema di smentita, che la versione di “Do they know It’s Christmas?” registrata in una sola notte a Londra nel 1984, con le voci di Boy George, George Michael, Simon Le Bon dei Duran Duran e la batteria di Phil Collins, resta ineguagliabile. Eppure, in quattro decenni, la sensibilità e la consapevolezza nei confronti dell’Africa e le cause umanitarie che la riguardano è mutata tanto da far emergere il lato culturale problematico di un brano pop che all’epoca raccolse comunque più di 8 milioni di sterline e fu capofila di altri progetti musicali di beneficenza, tra i quali lo storico concerto benefico “Live Aid”. Per questo, quando a fine novembre è arrivato il “2024 Ultimate Mix” del classico brano natalizio prodotto da Trevor Horn, che miscela sapientemente le voci e gli strumenti delle tre versioni incise nelle tre decadi (1984, 2004, 2014) non sono mancate le polemiche.
Bad Aid: il primo supergruppo
La recente scomparsa del geniale produttore statunitense Quncy Jones ha riportato in auge il successo planetario del suo brano “We are the world” registrato a Hollywood nel 1985 con le star della musica pop a stelle e strisce, ma in realtà l’idea originaria di raccogliere fondi contro la fame in Etiopia con un supergruppo pop è quella dell’irlandese Bob Geldof e dello scozzese Midge Ure che, un anno prima, avevano creato a Londra il progetto “Band Aid” per incidere una canzone natalizia, i cui proventi sarebbero andati in beneficenza, e sensibilizzare il mondo sulla crisi umanitaria in quel paese africano.
La polemica di Ed Sheeran
Già allora però i versi di “Do they know It’s Christmas?” fecero storcere il naso a qualcuno. Non a caso quelli cantati da Bono - circa la sventura che a Natale “grazie a Dio, tocca a loro, invece che a te” - sono stati sostituiti nella versione del 2024, ricantata dallo stesso leader degli U2. Ma quest’anno è stato il cantautore britannico Ed Sheeran - che aveva partecipato alla cover del 2014 - a dichiararsi contrario al progetto, scrivendo su Instagram che se avesse saputo che la sua voce, estratta dalla registrazione di dieci anni fa, sarebbe stata riutilizzata, avrebbe negato il consenso. “La mia comprensione della narrazione associata a questa canzone è cambiata”, ha affermato Sheeran e ha motivato la sua presa di posizione citando la riflessione di Fuse ODG, cantante britannico di origini ghanesi, che, poche ore prima, aveva criticato il nuovo progetto “Band Aid” per aver contribuito a “perpetuare stereotipi dannosi, soffocando la crescita economica, il turismo e gli investimenti verso l’Africa”.
I rischi della "poverty porn"
In un'intervista al Sunday Times, Bob Geldof ha difeso con passione la sua iniziativa di quarant’anni fa, ricordandone l’impatto straordinario nel corso degli anni: “Questa piccola canzone pop ha mantenuto in vita milioni di persone. Perché dovremmo smettere di sfamare migliaia di bambini che dipendono da noi per un pasto? Rinunciare a farlo per una questione astratta, pur legittima, legata al mondo privilegiato, non ha senso”. Ma le affermazioni di Sheeran e Fuse ODG non sono isolate e dimostrano - come ha scritto la rivista Nigrizia - “il crescente rifiuto verso la rappresentazione paternalistica e sensazionalistica delle problematiche del Sud globale, un fenomeno spesso definito come poverty porn (pornografia della povertà)”. Si tratta di un modo di condurre campagne umanitarie e fare beneficenza per l’Africa, ha sottolineato ancora la rivista dei comboniani, animato dal ‘’complesso del salvatore bianco’’, una modalità che “sta invecchiando molto male”.
Gli etiopi lo sanno che è Natale
“L'impatto a lungo termine di Band Aid sull'immagine dell'Africa è preoccupante”, ha scritto il 7 dicembre, sulle colonne del Los Angeles Times, Elias Wondimu, attivista e giornalista etiope. “Il marchio dell'Etiopia - e per estensione dell'Africa - come terra monolitica di sofferenza si è ripetuto negli anni con le rivisitazioni di Do They Know It's Christmas? (...) modellando il modo in cui il mondo vede e si impegna con l'Africa e senza dubbio influenzando gli investimenti, la collaborazione e le decisioni politiche”. “La maggioranza degli etiopi è cristiana - ha aggiunto - il Paese ha adottato il cristianesimo già nel IV secolo d.C.. Gli etiopi sapevano che era Natale nell'inverno del 1984 e lo sanno anche adesso, nonostante la domanda paternalistica della canzone”.
Salvare l'Africa?
Ha riassunto bene la questione Stefano Pancera, sul sito della rivista Africa, fondata dai Padri Bianchi: “Se l’iniziativa ebbe certamente il pregio di portare l’attenzione del mondo sulle devastanti carenze alimentari dell’Etiopia e senza dubbio ha salvato migliaia di persone dalla morte, di certo innescò la nascita di un’industria paternalistica la cui missione era quella di ‘salvare l’Africa’.”
Sono solo canzonette
A quarant’anni di distanza, dunque, i cultori della pop music possono legittimamente commuoversi riascoltando le note di Do they know It’s Christmas?, ma gli si chiede di ricordare che l’immagine di un continente africano perennemente afflitto da povertà, conflitti e malattie, e che possiamo aiutare solo con la nostra beneficenza è ormai definitivamente superata dalla storia. E soprattutto di essere consapevoli che le crisi umanitarie non si risolvono con le canzonette: quelle servono per sognare.
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