Il Papa ai Rom slovacchi: ghettizzare accende la rabbia, la Chiesa è casa vostra
Salvatore Cernuzio – Città del Vaticano
“Francesco benvenuto tra noi”. La scritta arcobaleno in stampatello italiano, su un enorme cartellone bianco, contrasta con il grigiore dei sette-otto palazzoni che sorgono sul territorio polveroso di Luník IX. Il ghetto dei Rom alla periferia di Košice, oggi pomeriggio accoglie Papa Francesco che si reca in visita tra gli ultimi della Slovacchia, come penultima tappa del suo terzo giorno di viaggio apostolico (Ascolta il servizio con la voce del Papa).
No giudizi e pregiudizi
Il Papa arriva puntuale alle 16, accolto da musica gitana e applausi fragorosi anche da parte della gente affacciata dai balconi dei palazzi semidiroccati. Su un fazzoletto di verde è stato allestito un palco bianco con una tenda a fiori, da dove il Pontefice, nel suo discorso, stigmatizza i “giudizi e pregiudizi” che aggravano la vita di queste minoranze ed esorta a proseguire sulla via dell’integrazione, unica strada per una “convivenza pacifica”.
Festa a Luník IX
Parole non scontate per gli abitanti di Luník, oggi spettatori, con chitarre e scenografici abiti tradizionali, di uno scenario inedito: maxischermi, transenne, cartelloni, uomini della sicurezza e volontari in pettorina gialla. Mai il quartiere, fino a qualche anno fa fortezza impenetrabile dall’esterno, aveva vissuto un evento simile. Mai nessuna personalità aveva messo piede qui dentro. Oggi c’è il Papa e il quartiere ha ripreso vita, con una grande opera di restyling che vede palazzi ridipinti di bianco con murales floreali, strade pulite, erba coltivata.
Francesco sorride mentre saluta centinaia di bambini che agitano le mani per dargli il benvenuto. Poi ascolta le testimonianze: prima quella di don Peter Basenyei, il sacerdote salesiano, da decenni missionario in mezzo ai rom, che guida il Centro Pastorale Salesiano. Poi quelle di due coppie di Rom.
Nessuno fuori posto nella Chiesa
A colpire il Papa è soprattutto la testimonianza di Ján che, con la moglie Beáta, gli offre lo spunto per ribadire le parole di conforto già espresse in passato a favore dei gitani: “Voi nella Chiesa non siete ai margini… Voi siete nel cuore della Chiesa”. “Nessuno nella Chiesa deve sentirsi fuori posto o messo da parte”, aggiunge il Papa: non è un modo di dire, ma “il modo” di essere della Chiesa. Perché essere Chiesa “è vivere da convocati di Dio, è sentirsi titolari nella vita, far parte della stessa squadra”, afferma Francesco. “Dio ci desidera così” e “desidera che l’umanità intera diventi una famiglia universale”.
Sì, la Chiesa è casa, è casa vostra. Perciò – vorrei dirvi con il cuore – siete benvenuti, sentitevi sempre di casa nella Chiesa e non abbiate mai paura di abitarci. Nessuno tenga fuori voi o qualcun altro dalla Chiesa!
Andare oltre gli stereotipi
Papa Francesco cita ancora l’esperienza di Ján che attesta “come la concretezza del vivere insieme può far crollare tanti stereotipi che altrimenti sembrano insuperabili”.
Cristo però insegna: “Non giudicate”, ricorda il Papa. “Quante volte, invece, non solo parliamo senza elementi o per sentito dire, ma ci riteniamo nel giusto quando siamo giudici rigorosi degli altri. Indulgenti con noi stessi, inflessibili con gli altri”.
Quante volte i giudizi sono in realtà pregiudizi, quante volte aggettiviamo! È sfigurare con le parole la bellezza dei figli di Dio, che sono nostri fratelli. Non si può ridurre la realtà dell’altro ai propri modelli preconfezionati, non si possono schematizzare le persone.
I Rom oggetto di giudizi impietosi
Tante, troppe volte, i Rom sono stati “oggetto di preconcetti e di giudizi impietosi, di stereotipi discriminatori, di parole e gesti diffamatori”, ammette il Pontefice. “Con ciò tutti siamo divenuti più poveri, poveri di umanità”.
Allora, per “recuperare dignità” è necessario “passare dai pregiudizi al dialogo, dalle chiusure all’integrazione”. In che modo? Una risposta viene dalla storia di Nikola e René, coppia con due figli il cui amore è nato nel degrado di Luník ed è maturato grazie all’incoraggiamento ricevuto dai propri familiari che li hanno esortati ad “andare controcorrente”, e da alcuni sacerdoti che li hanno coinvolti nelle attività pastorali. Si sono laureati durante la pandemia, hanno trovato un lavoro e hanno comprato un appartamento a Košice. “Vi siete sentiti amati e siete cresciuti con il desiderio di dare qualcosa di più ai vostri figli”, dice loro il Papa. “Così ci avete dato un messaggio prezioso: dove c’è cura della persona, dove c’è lavoro pastorale, dove c’è pazienza e concretezza i frutti arrivano. Non subito, col tempo, ma arrivano”.
Il futuro dei bambini
L’integrazione è infatti “un processo organico, un processo lento e vitale, che inizia con la conoscenza reciproca, va avanti con pazienza e guarda al futuro”. Futuro che appartiene ai bambini: “Sono loro a orientarci: i loro grandi sogni non possono infrangersi contro le nostre barriere”, ammonisce il Pontefice, “essi vogliono crescere insieme agli altri, senza ostacoli e senza preclusioni. Meritano una vita integrata e libera”. Servono quindi “scelte lungimiranti”, che non ricercano “il consenso immediato” ma “guardano all’avvenire di tutti”.
Il lavoro dei salesiani
Il Papa loda quindi il lavoro di integrazione portato avanti dal gruppo di salesiani che dal 2008 è radicato nel ghetto. Un lavoro non facile che, “oltre a comportare non poche fatiche, a volte riceve pure incomprensione e ingratitudine, magari persino nella Chiesa”, evidenzia Francesco. Da qui l’incoraggiamento a proseguire “il lavoro con chi è al margine”. Non solo Rom, ma anche rifugiati e detenuti.
In particolare, il Papa ringrazia don Peter per un’opera che non è “assistenzialismo sociale, ma accompagnamento personale”.
Non abbiate paura di uscire incontro a chi è emarginato. Vi accorgerete di uscire incontro a Gesù. Egli vi attende là dove c’è fragilità, non comodità; dove c’è servizio, non potere; dove c’è da incarnarsi, non da compiacersi. Lì c’è Lui.
L’invito conclusivo del Papa è quindi ad “andare oltre le paure, oltre le ferite del passato, con fiducia, passo dopo passo: nel lavoro onesto, nella dignità di guadagnare il pane quotidiano, nell’alimentare la fiducia reciproca… Palikerav”.
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