Slovacchia, il Papa: chi ha la croce nel cuore non vede nessuno come nemico
Debora Donnini – Città del Vaticano
Non ridurre la croce a “un simbolo politico", a “un segno di rilevanza religiosa e sociale”. Gesù ha scelto “la via più difficile”, quella della croce, perché non ci sia nessuno tanto disperato “da non poterlo incontrare, persino lì, nell’angoscia, nel buio, nell’abbandono, nello scandalo della propria miseria e dei propri sbagli”. Nel cuore della Slovacchia orientale, dove da secoli vivono cattolici di rito sia latino che bizantino, il Papa rivolge ai fedeli una forte omelia incentrata sul senso profondo della croce di Cristo, riallacciandosi anche alle sofferenze vissute in questa terra: alle tante persone che in Slovacchia sono morte “a causa del nome di Gesù”. Parole molto forti che risuonano alla Divina Liturgia Bizantina di San Giovanni Crisostomo, nella festa dell’Esaltazione della Croce, davanti ai fedeli slovacchi riuniti nel piazzale del centro sportivo Mestskà Sportova hala di Prešov, terza città del Paese che sorge ai piedi dei Monti Metalliferi, dove una targa commemorativa ricorda la visita di san Giovanni Paolo II nel 1995 quando incontrò i cattolici di rito bizantino. (Ascolta il servizio con la voce del Papa)
È palpabile l’entusiasmo degli oltre 30 mila presenti che sventolano bandierine mentre Francesco passa in papamobile. Questa è la prima Divina Liturgia bizantina di San Giovanni Crisostomo ad essere presieduta da un Papa in Slovacchia. È celebrata parzialmente in slovacco e in slavo ecclesiastico, o come viene chiamato “paleoslavo”. E poiché la Slovacchia orientale è etnicamente mista, ci saranno anche alcune preghiere in lingua rutena, altre in ucraino, ungherese e rom. Una liturgia ricca di segni come la benedizione con i trikerion e i dikerion, speciali candelabri. Intenso anche il momento di adorazione della Santa Croce esposta sul tetrapodion. Viene anche donata al Papa un’icona, copia della Santa Madre di Dio di Klokocov.
Il testimone della croce non impone sé stesso ma dona la vita
“Oggi il Signore, dal silenzio vibrante della croce, chiede a tutti noi e chiede anche a te, a te, a te, a me: ‘Vuoi essere mio testimone?’”, dice il Papa ricordando che la croce “non vuol essere una bandiera da innalzare, ma la sorgente pura di un modo nuovo di vivere”, quello delle Beatitudini:
Il testimone che ha la croce nel cuore e non soltanto al collo non vede nessuno come nemico, ma tutti come fratelli e sorelle per cui Gesù ha dato la vita. Il testimone della croce non ricorda i torti del passato e non si lamenta del presente. Il testimone della croce non usa le vie dell’inganno e della potenza mondana: non vuole imporre sé stesso e i suoi, ma dare la propria vita per gli altri. Non ricerca i propri vantaggi per poi mostrarsi devoto: questa sarebbe una religione della doppiezza, non la testimonianza del Dio crocifisso. Il testimone della croce persegue una sola strategia, quella del Maestro: l’amore umile.
Gli eroi della quotidianità
Non attende, dunque, trionfi quaggiù, ma è fecondo nella quotidianità. Ed è immergendo lo sguardo in Gesù che si viene trasformati. Il pensiero di Francesco va ai martiri “che hanno testimoniato in questa nazione l’amore di Cristo in tempi molto difficili, quando tutto consigliava di tacere, di mettersi al riparo, di non professare la fede”.
Quante persone generose hanno patito e sono morte qui in Slovacchia a causa del nome di Gesù! Una testimonianza compiuta per amore di Colui che avevano lungamente contemplato. Tanto da somigliargli, anche nella morte. Ma penso anche ai nostri tempi, in cui non mancano occasioni per testimoniare. Qui, grazie a Dio, non c’è chi perseguita i cristiani come in troppe altre parti del mondo. Ma la testimonianza può essere inficiata dalla mondanità e dalla mediocrità. La croce esige invece una testimonianza limpida.
Il Papa invita, dunque, gli slovacchi a conservare il ricordo delle persone semplici che “hanno dato la vita amando fino alla fine”. Sono “i nostri eroi”, afferma, “eroi della quotidianità” le cui vite cambiano la storia. I testimoni, infatti, generano altri testimoni. Così si diffonde la fede, rimarca, “non con la potenza del mondo, ma con la sapienza della croce; non con le strutture, ma con la testimonianza”
La croce non resti un libro “non letto”
Alcuni santi hanno insegnato che la croce è come un libro. Per conoscerlo, bisogna aprirlo e leggerlo, sottolinea ancora il Papa. Non basta acquistarlo e dargli un’occhiata. Così per la croce:
E’ dipinta o scolpita in ogni angolo delle nostre chiese. Non si contano i crocifissi: al collo, in casa, in macchina, in tasca. Ma non serve se non ci fermiamo a guardare il Crocifisso e non gli apriamo il cuore, se non ci lasciamo stupire dalle sue piaghe aperte per noi, se il cuore non si gonfia di commozione e non piangiamo davanti al Dio ferito d’amore per noi. Se non facciamo così, la croce rimane un libro non letto, di cui si conoscono bene il titolo e l’autore, ma che non incide nella vita. Non riduciamo la croce a un oggetto di devozione, tanto meno a un simbolo politico, a un segno di rilevanza religiosa e sociale.
Un cristianesimo senza croce diventa sterile
Richiamandosi al Vangelo della Liturgia odierna, il Papa sottolinea che san Giovanni vede e testimonia. Vede Gesù in croce, un innocente ucciso brutalmente. Agli occhi del mondo sembra un fallimento, ed esiste - avverte Francesco - il rischio di fermarsi a “questo primo sguardo superficiale” e non, invece, “accettare la logica della croce”:
Non accettare che Dio ci salvi lasciando che si scateni su di sé il male del mondo. Non accettare, se non a parole, il Dio debole e crocifisso, e sognare un dio forte e trionfante. È una grande tentazione. Quante volte aspiriamo a un cristianesimo da vincitori, a un cristianesimo trionfalistico, che abbia rilevanza e importanza, che riceva gloria e onore. Ma un cristianesimo senza croce è mondano e diventa sterile.
Dio ha fatto suo il nostro abbandono
L’invito del Papa è dunque a vedere nella croce l’opera di Dio, in Cristo crocifisso la gloria di Dio, che si offre volontariamente per ogni uomo. “Per salvare chiunque è disperato ha voluto lambire la disperazione, per fare suo il nostro più amaro sconforto ha gridato sulla croce: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?»”, ricorda il Papa sottolineando che è “un grido che salva”, perché “Dio ha fatto suo perfino il nostro abbandono. E noi, ora, con Lui, non siamo più soli, mai”.
Al termine della Divina Liturgia - durante la quale sono stati utilizzati circa 25 mila cucchiaini per dare la comunione sotto le due specie - a rivolgere un saluto al Papa è stato monsignor Ján Babjak, arcivescovo Metropolita di Prešov per i cattolici di rito bizantino. “Nella Chiesa greco-cattolica in Slovacchia il ‘Pietro di Roma’ è molto amato, da interi secoli. Preghiamo per Lei e per la Sua opera apostolica che svolge in tutto il mondo, rafforzando i fratelli e le sorelle nella fede”, ha affermato esprimendo così la gioia di tutti i fedeli per la visita del Papa.
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