Tra fede e dialogo, il Papa indica le sfide per la scuola cattolica
Delphine Allaire – Marsiglia, Francia
L’educazione è un "dovere ineludibile", una "sfida pressante" e, per il cristiano, è "un modo di partecipare al ruolo profetico che Gesù ha lasciato alla sua Chiesa". Con queste parole Papa Francesco si rivolge ai partipanti al Congresso mondiale sull’educazione cattolica, organizzato dall’Oiec (Ufficio Internazionale Cattolico dell’Educazione) e che quest'anno ha come titolo: “La scuola cattolica come corpo di speranza”, in corso a Marsiglia dall’1 al 3 dicembre. A leggere il messaggio è stato il cardinale arcivescovo di Rabat, Cristobal Romero Lopez.
"Quando ci avviciniamo all'educazione – si legge nel testo – non possiamo farlo pensando a qualcosa di puramente umano, concentrando la questione sui programmi, sulla formazione, sulle risorse, sugli spazi di accoglienza", perché la vocazione cristiana, spiega, ci chiede di dare voce "a una Parola che non è nostra, che va oltre noi, che ci trascende”.
La componente profetica della scuola
Per il Papa, quindi, "logicamente", l'insegnamento della scuola cattolica non è limitato alle questioni confessionali, ma il suo contenuto è aperto a tutti i rami del sapere e a chiunque cerchi questa istruzione. "Così come diciamo che l'attività della scuola non si riduce all'insegnamento delle materie, ma alla formazione delle persone nella loro integrità – spiega ancora Francesco - così, quando parliamo di scuola cattolica, è altrettanto indispensabile quella componente profetica che dà all'uomo non solo la capacità di acquisire conoscenze, ma anche di conoscere se stesso e di riconoscersi come un essere capace di amare e di essere amato”.
Nessun proselitismo nelle scuole, collaborazione con la famiglia e la società
Non si tratta di "fare proselitismo" e tanto meno di "escludere dalle nostre scuole coloro che non la pensano come noi", spiega ancora il Pontefice. La scuola è configurata "come una lezione di vita in cui si integrano diversi elementi", in stretta collaborazione con altri organismi, come la famiglia o la società. In questo modo, "nell'impercettibile, nel vissuto", l'identità della scuola riuscirà "a rendersi presente e ad entrare in dialogo e ad essere una parola che può, allo stesso tempo, essere una sfida per le persone di fede e costruire ponti di dialogo con i non credenti".
"Le classi non sono monadi o compartimenti stagni"
Il Papa invita quindi ad ispirarsi al modo in cui Cristo insegna e al modo in cui chiede ai suoi discepoli di insegnare. La prima caratteristica è che il suo invio è allo stesso tempo "un atto di amore e un atto di obbedienza" e un insegnamento che nasce dalla comunione. "Le nostre aule non sono monadi, le nostre scuole non sono compartimenti stagni", specifica il Papa, insistendo sulla comunione con la Chiesa universale e locale, in "un progetto comune che ci trascende e va oltre noi".
La presa in carico dei problemi sociali
La seconda caratteristica è che "siamo in movimento". Gesù cammina sempre, ed esorta i suoi discepoli a fare lo stesso, ordinando loro persino di andare avanti a lui, per raggiungere i confini della terra, dice Francesco. Così, secondo lui, la scuola cattolica, nelle sue iniziative, deve farsi carico dei problemi sociali, a livello locale e universale, deve imparare e, in questo apprendimento, insegnare ad aprire la mente a nuove situazioni e a nuovi concetti, a camminare insieme senza escludere nessuno, a stabilire punti di incontro e ad adattare il linguaggio in modo che sia capace di catturare l'attenzione di chi è più lontano.
Certo, Francesco riconosce che è necessario dare la migliore formazione possibile agli studenti, ma è anche indispensabile, secondo lui, "renderli uomini e donne che non si accontentano di accumulare conoscenze", in modo che "questa dottrina permetta loro di acquisire la saggezza di cui parla San Benedetto, che li farà crescere e farà crescere gli altri, ovunque il Signore li mandi". In breve, svolgere il lavoro di un artigiano per raggiungere "la sublime conoscenza di Dio".
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