Il Papa: l'eutanasia, fallimento dell'amore. Promuovere la dignità nel fine vita
L'Osservatore Romano
Ai giorni nostri, di fronte «ai tragici effetti della guerra, della violenza e di ingiustizie di diverso tipo, è fin troppo facile lasciarsi andare al dolore, addirittura alla disperazione». Eppure, come membri della famiglia umana e «soprattutto in quanto credenti, siamo chiamati ad accompagnare, con amore e compassione, le persone che lottano e fanno fatica a trovare ragioni di speranza». Lo scrive Papa Francesco nel messaggio inviato ai partecipanti al primo simposio internazionale interreligioso sulle cure palliative, sul tema “Verso una narrazione di speranza”, che si svolge a Toronto, in Canada, dal 21 al 23 maggio. All’incontro partecipano i presidenti dei due organismi promotori - per la Pontificia Accademia per la Vita l’arcivescovo Vincenzo Paglia e, per la Conferenza Episcopale canadese, il vescovo William McGrattan - con professionisti del settore sanitario, tra cui medici e infermieri, provenienti da tutto il mondo e appartenenti a diverse confessioni religiose.
Segno concreto di vicinanza e solidarietà per chi soffre
Nel messaggio in inglese diffuso oggi, mercoledì 22 maggio, il Pontefice, riferendosi al tema del simposio, ricorda che la speranza «ci dà la forza di far fronte alle domande che le sfide, le difficoltà e le preoccupazioni della vita ci pongono». In effetti, tutti coloro che hanno sperimentato «l’incertezza che spesso viene dalla malattia e dalla morte - osserva Francesco - hanno bisogno della testimonianza della speranza data da coloro che si prendono cura di loro e rimangono al loro fianco». A questo proposito, la cura palliativa, mentre «cerca di alleviare il più possibile il peso della sofferenza, è in primo luogo un segno concreto di vicinanza e solidarietà con i nostri fratelli e sorelle che stanno soffrendo». Allo stesso tempo, questo tipo «di sollecitudine aiuta i pazienti e i loro cari ad accettare la vulnerabilità, la fragilità e la finitezza che contraddistinguono la vita umana in questo mondo».
Eutanasia, fallimento dell'amore
Il Papa puntualizza con chiarezza che la vera cura palliativa «è radicalmente diversa dall’eutanasia, che mai è sorgente di speranza né preoccupazione genuina per i malati e i morenti». Piuttosto, è un fallimento dell’amore, riflesso di una “cultura dello scarto” nella quale «le persone non sono più considerate valore fondamentale di cui prendersi cura e da rispettare» (Fratelli tutti, 18). Infatti, evidenzia il Pontefice, spesso l’eutanasia «è presentata falsamente come una forma di compassione». Invece, l’atteggiamento della “compassione”, che significa “soffrire con”, non prevede «un’azione intenzionale per porre fine a una vita, quanto piuttosto la volontà di condividere il peso delle persone che stanno affrontando l’ultima parte del nostro pellegrinaggio terreno». Al contrario, la cura palliativa «è una forma genuina di compassione perché risponde alla sofferenza, sia essa fisica, emotiva, psicologica o spirituale, affermando la dignità fondamentale e inviolabile di ciascuna persona», in particolar modo dei morenti, «e aiutandoli ad accettare l’inevitabile attimo di passaggio da questa vita alla vita eterna».
Aiutare malati e morenti a realizzare che non sono soli
In questa prospettiva, le «convinzioni religiose offrono una più profonda comprensione della malattia, della sofferenza e della morte, considerandole parte del mistero della divina Provvidenza e, per quanto riguarda la tradizione cristiana, un mezzo per raggiungere la santificazione». Non a caso, fa notare il Papa, «le opere compassionevoli e il rispetto mostrato da personale medico e operatori sanitari specializzati sono spesso riusciti a far sì che le persone alla fine della loro vita abbiano potuto trovare conforto spirituale, speranza e riconciliazione con Dio, con i membri della loro famiglia e con gli amici». Francesco definisce questo servizio «importante - direi addirittura essenziale - per aiutare i malati e i morenti a realizzare che non sono isolati né soli, che la loro vita non è un peso ma che essi rimangono comunque intrinsecamente preziosi agli occhi di Dio e uniti a noi per il vincolo della comunione».
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