Università di Lovanio, la decana: a servizio della Chiesa in modo criticamente leale
Salvatore Cernuzio – Inviato a Bruxelles
A Roma viene “parecchio”, come membro della Pontificia Commissione biblica, ma il Papa così da vicino raramente l’aveva visto. Bénédicte Lemmelijn è la decana della Facoltà di Teologia e Studi religiosi dell’Università Cattolica di Lovanio, il più antico ateneo cattolico d’Europa e del mondo che festeggia i 600 anni dalla sua fondazione per volontà di Martino V. Un importante anniversario celebrato con Papa Francesco recatosi nel pomeriggio di oggi, 27 settembre, in questa cittadina a 26 km da Bruxelles, nel cuore delle Fiandre, per incontrare il corpo docenti dell’Università. Lemmelijn era seduta in prima fila e ha applaudito al discorso del Pontefice che ha esortato la comunità accademica ad andare avanti nel proprio lavoro. A margine, la decana ha commentato con i media vaticani e un gruppo ristretto di giornalisti il patrimonio, le opportunità ma anche i problemi e le sfide della Katholiek Universiteit Leuven.
Qual è il significato del fatto che il Papa sia venuto da voi?
Qui e ora. Cioè il fatto che sia venuto qui e in questo momento. In tutte le discussioni contestuali che abbiamo avuto, la gente si è concentrata su questo o quel problema. Ma la prima cosa che vorrei sottolineare è che stiamo vivendo una festa, la celebrazione dei 600 anni dell’Università Cattolica di Lovanio e abbiamo avuto il Papa come ospite d’onore. L’ospite più illustre. L’Università è fondata nella tradizione cristiana ed è fiorita. Dopo sei secoli siamo ancora in piedi in questa tradizione, che è quello che ha potuto vedere il Papa.
Qual è il ruolo dell’Università Cattolica oggi, in un contesto così secolarizzato?
È vero, il contesto è molto cambiato rispetto a qualche decennio fa quando arrivò Papa Giovanni Paolo II: è una società molto secolarizzata. Tuttavia, come dicevo, questa Università è nata in seno alla tradizione cristiana e i suoi valori sono ancora valori cristiani, i nostri piani politici e di governance sono ispirati alle verità cristiane. Quindi siamo ancora dentro, direi, in modo criticamente leale. Soprattutto come Facoltà di Teologia abbiamo un doppio compito: ci occupiamo di teologia vera e propria, di scienza teologica, studi biblici, storia, etica, ma siamo anche al servizio della nostra società, al servizio della Chiesa. E, ripeto, lo facciamo in modo criticamente leale. Cioè come un amico vero. E un amico vero non dice sempre quello che ti piace sentire, dice anche quello che devi migliorare. Quindi confermeremo sempre ciò che è buono e ciò che pensiamo possa far prosperare le persone. Ma siamo anche onesti, intellettualmente onesti dove vediamo percorsi da approfondire, dove vediamo che c’è bisogno di insegnare. Abbiamo, dunque, un compito critico, un compito scientifico-teologico, e penso che un’Università Cattolica deve svolgere un ruolo simile nel mondo scientifico di oggi. Siamo una delle migliori università del mondo e lavoriamo partendo dalle nostre radici cristiane, traducendo questi valori in tutto ciò che facciamo, nelle commissioni etiche, nei progetti che avviamo, cercando davvero di collegare tutto a quel fiume che da sei secoli stiamo ancora seguendo.
In questa eredità quale ruolo pensa che abbia l’“influenza” della Teologia della Liberazione, del Concilio Vaticano II e degli insegnamenti a venire?
Sono state delle fasi... nella progressione della nostra riflessione. Naturalmente, oggi non lo sono più. Abbiamo ancora un centro di Teologia della liberazione, per esempio, ma è una teologia della liberazione al plurale, perché anche qui entra in gioco l’elemento della contestualizzazione. Chiediamo, cioè, di affrontare le questioni che abbiamo affrontato e che stiamo ancora sviluppando, ma abbiamo tutte le altre correnti di riflessione. Credo che la cosa più importante sia farlo in modo onesto in relazione al luogo da cui si viene e a quello in cui volete andare. Oggi abbiamo tanti Paesi diversi con culture diverse e alcuni sono secolarizzati, altri no, e quindi è difficile avere un’unica verità universale intoccabile per tutti. Il mondo di oggi è molto diverso e penso che, a tal proposito, la sinodalità sia importante e dovrebbe prendere sul serio la contestualizzazione, in modo che ciò che diciamo in Belgio alle persone e alle famiglie non sia lo stesso di ciò che si dice in Africa.
Cosa pensa in generale della visita del Papa in Belgio, ci sono state resistenze anche in questa università?
Siamo una società molto eterogenea e ci sono alcuni gruppi di persone che si sentono esclusi, invece la Chiesa ha discorsi bellissimi sull’inclusione, sulla misericordia e sulla compassione. Ho sentito anche il Papa stesso parlare in questi termini. Tuttavia per alcune persone sembra che i discorsi stessi sulla inclusione stiano in realtà escludendo le persone. Penso a una coppia omosessuale di donne che conosco molto bene, due persone preziose che fanno cose meravigliose. Credono in Dio, ma sentono il dolore di non essere prese sul serio o di non avere piena dignità all’interno della Chiesa. Quindi è normale che questo elemento qui in Belgio sia importante. Le nostre facoltà hanno effettivamente esposto la bandiera arcobaleno, compresa la mia Facoltà di Teologia. Ma non è un segno di protesta, bensì un segno di inclusione e sostegno a quelle persone che si sentono ferite da alcune dichiarazioni troppo forti o troppo escludenti. Poi, naturalmente, abbiamo tutto il trauma collettivo in Belgio per l’abuso sessuale di bambini per il quale la Chiesa non è sempre stata molto forte nell’esprimere il proprio dispiacere, anche se ci sono state molte iniziative. Servono compassione e comprensione per coloro che si sentono feriti.
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