Il Papa e il primate anglicano Justin Welby Il Papa e il primate anglicano Justin Welby  

Welby: la Chiesa è sinodale se cammina insieme, servendo e non dominando

L'arcivescovo di Canterbury si sofferma ai microfoni di Vatican News per discutere diversi argomenti che vanno dagli sforzi ecumenici sul cambiamento climatico alla sinodalità, alle speranze per una visita congiunta in Sud Sudan

Christopher Wells  - Città del Vaticano

Durante la sua visita a Roma per una serie di incontri con Papa Francesco e altri leader religiosi, l’arcivescovo di Canterbury Justin Welby, primate della Comunione anglicana, in un’intervista ad ampio raggio ai medi vaticani sottolinea, tra l’altro, come tutte le fedi possono lavorare insieme per promuovere la causa della protezione ambientale, indica quali esperienze la Comunione anglicana può offrire alla conclude l’intervista ricordando che Dio è più grande di qualsiasi problema il mondo ci possa presentarci.

Vostra Grazia, so che lei è qui, in parte, per il lavoro sulla Cop26 in vista di tale incontro, e che insieme a Papa Francesco ha firmato un appello riguardante la cura della nostra casa comune. Può dirci in che modo le Chiese continuano a lavorare insieme per promuovere la causa della cura della casa comune?

Lunedì è stata una giornata straordinaria.  Il Vaticano, insieme ai governi italiano e inglese come co-presidenti della Cop26, ha riunito un gruppo interconfessionale davvero straordinario. Guardandosi intorno nella sala — probabilmente avrete visto le foto — penso che fossero presenti fedi rappresentanti forse l’80 percento del mondo. Quindi non si tratta tanto di “che cosa possono fare le Chiese?”, ma piuttosto di “che cosa possono fare i gruppi confessionali nel mondo?”. La prima cosa, ovviamente, è un impegno alla base. Una delle frasi che ho usato ieri durante una delle sessioni è stata che dobbiamo agire dall’alto verso il basso, dal centro verso l’esterno, dal basso verso l’alto. E le fedi hanno l’opportunità di agire dal basso verso l’alto. Dobbiamo agire. Non serve a nulla limitarsi a predicare ai politici. Dobbiamo agire. E l’azione è azione nello sviluppo; nell’educazione, nella quale tutti i gruppi confessionali sembrano essere fortemente impegnati; e nell’incoraggiare i politici, nel sostenerli e aiutarli. Significa anche cambiare le nostre abitudini. La Chiesa d’Inghilterra si è posta un obiettivo, ovvero che tutti i suoi edifici, comprese le scuole, siano a emissioni zero entro il 2030. È una sfida immensa. È ciò che stiamo facendo.

Stiamo anche usando l’autorità morale della Chiesa, sebbene non siamo grandi investitori in termini internazionali; siamo un’entità piccola, in realtà, molto piccola. Coloro che si occupano dei nostri investimenti hanno creato una coalizione con oltre 10 trilioni di dollari di fondi in gestione, con uno strumento della London School of Economics che ci permette di impegnarci con le compagnie delle quali deteniamo quote azionarie e misurare i loro progressi verso le emissioni zero. Quindi usiamo i nostri voti e i nostri investimenti per spingere le aziende verso le emissioni zero. La risposta ovviamente è sì, ma comunque non basterà. È necessario, ma non sufficiente. Quindi avrà visto la dichiarazione fatta dal Santo Padre, dal patriarca ecumenico e da me alcune settimane fa — due o tre settimane fa — che esorta i governi, le imprese, gli individui e le Chiese e i gruppi confessionali a modificare le loro azioni.

È stato molto interessante sentirle dire non solo dall’alto verso il basso, ma anche dal centro verso l’esterno e dalle basi verso l’alto in termini di cura della nostra casa comune. Sono state rivolte molte critiche a politici e leader internazionali perché non fanno abbastanza. C’è un modo in cui i fedeli nelle Chiese, le altre religioni, possono agire al di là degli stalli che talvolta osserviamo nel mondo politico?

Il guaio è che chiunque di questi verrà lasciato fuori minerà il processo. Quindi, i governi devono cambiare le regole commerciali e le norme fiscali, al fine di incentivare l’economia verde in futuro. Le aziende devono cambiare le loro pratiche e andare verso le emissioni zero; gli individui devono cambiare le loro pratiche; e i gruppi confessionali devono esserci, dimostrando con le loro azioni e chiedendo con le loro parole che tali cambiamenti avvengano, e sostenendo il cambiamento nell’opinione pubblica. Martedì mattina ho incontrato il presidente della Repubblica italiana, il quale ha detto più di una volta che dobbiamo guidare l’opinione pubblica. I gruppi confessionali devono guidare l’opinione pubblica, e penso che abbia fatto bene a sfidarci in questo modo.

Come sa, la Chiesa cattolica sta per iniziare un processo sinodale di due anni sul tema della sinodalità. La Comunione anglicana ha una lunga storia di sinodalità e forse un’esperienza diversa della sinodalità rispetto alla Chiesa cattolica. Può dirci brevemente come la sinodalità viene vissuta nella Comunione anglicana e che cosa la vostra esperienza vissuta può offrire alla Chiesa mentre iniziamo il nostro processo sinodale?
 

Sì, penso che sia affascinante che ciò stia avvenendo nella Chiesa cattolica, e m’interessa molto. Il dialogo ecumenico tra la Chiesa cattolica e la Comunione anglicana —  Arcic [la Commissione internazionale anglicano-cattolica]  —  ne ha parlato in una recente pubblicazione. E ha concluso che sebbene parliamo entrambi di sinodalità, intendiamo qualcosa di leggermente diverso. Nell’anglicanismo, la sinodalità, la maggior parte dei sinodi —  dire che una cosa accade ovunque nell’anglicanismo significa sempre andare in cerca di guai —  ha tre camere o almeno due. Nella Chiesa d’Inghilterra, per esempio, abbiamo tre camere: vescovi, clero e laici.  E queste —  per noi il sinodo — sono attive a tre livelli: quello del decanato, che è quello molto locale, appena al di sopra della parrocchia; quello diocesano; e a livello nazionale nella Chiesa d’Inghilterra, per ascoltare la voce di laici, ordinati e vescovi. È questo ciò che davvero conta.

Pensiamo che vi sia insita una comprensione veramente ecclesiologica del laós, del popolo di Dio che esprime il suo senso di come lo Spirito sta guidando la Chiesa. Ed è molto interessante. Benedetto, nella sua Regola parla del monastero —  penso sia nel terzo capitolo o qualcosa del genere —; dice che nel monastero, quando bisogna prendere una grande decisione, è bene riunire tutti, perché i più giovani e meno importanti potrebbero di fatto avere la saggezza, la parola saggia dello Spirito. I sinodi possono diventare consolidati come qualsiasi altra struttura nella Chiesa, quindi penso che sia molto importante il “sinodo”: in una bella allocuzione nel bel mezzo di un sinodo — mi pare quello sulla famiglia, o forse quello sui giovani — nella sua allocuzione centrale durante le tre settimane, il Santo Padre ha parlato del sinodo con il suo significato letterale che è camminare insieme, syn-hodos — essere sullo stesso cammino.

E durante il nostro incontro martedì mattina abbiamo parlato della necessità che la Chiesa non rimanga bloccata, che non sia stazionaria, ma in cammino. E lì, penso, abbiamo la stessa comprensione dell’ecclesiologia, di ciò che significa essere Chiesa, ovvero di camminare insieme. E il sinodo, nella sua accezione migliore, ci permette di camminare insieme, ascoltandoci gli uni gli altri con attenzione; rafforzando i deboli e permettendo ai forti di servire i deboli e non di dominare.

Papa Francesco ha parlato di ascoltare tutte le voci... nella Chiesa, nella Chiesa cattolica, nella comunione cristiana più ampia e, di fatto, le voci al di fuori del cristianesimo. Dalla sua prospettiva, ha riflettuto su come la Comunione anglicana può dare un contributo al Sinodo cattolico sulla sinodalità?

Ritengo che uno tra gli sviluppi più interessanti del dialogo ecumenico negli ultimi anni sia stato che abbiamo imparato a non dare lezioni e a non dire "abbiamo questo e ora ve lo insegneremo", ma piuttosto "abbiamo bisogno di imparare da voi". Pertanto, penso che sia così che dobbiamo comportarci gli uni verso gli altri, ossia che entrambi abbiamo bisogno di imparare dall’altro. Mi augurerei di imparare molto dalla profonda saggezza della Chiesa cattolica e, d’altro canto, di avere qualche contributo da dare. Ma nella grazia di Dio, aspettiamo e vediamo.

Sia lei, sia Papa Francesco avete espresso il desiderio di recarvi in Sud Sudan. Come vede il progredire del processo di pace in Sud Sudan, e ritiene che vi sia una vera speranza che possiate compiere un viaggio insieme in quel Paese, lei e Papa Francesco?

Bene, per rispondere prima all’ultima domanda e darle una risposta breve: sì. Con enfasi. Ritornando alla prima domanda, il progresso nel processo di pace, nei processi di pace —  parlo dopo 20 anni di esperienza di lavoro su questo genere di cose — sono agonizzanti. Sono lenti. Si è sempre stupiti quando si compiono progressi, e stupiti anche quando si perdono quelli che si pensavano essere progressi. E il Sud Sudan non è diverso. Penso quindi che quel viaggio sia davvero importante: per mostrare l’amore dei pastori per le pecore; per ascoltare le pecore, per stare con quelle che sono ferite. Per dirlo con le bellissime parole di Papa Francesco, per odorare le pecore e odorare di pecora. E per servire. Penso che quel viaggio sia davvero molto importante.

Abbiamo parlato tanto di ascolto nei diversi argomenti che abbiamo affrontato oggi. C’è qualcosa che vorrebbe dire e di cui forse non abbiamo parlato per quanto riguarda la sua visita qui, o nella prospettiva di guardare al futuro?

Guardando al futuro, quello che vorrei dire è che abbiamo attraversato un periodo angosciante in tutto il mondo. E in molti luoghi è ancora angosciante, anche in Italia, anche in Inghilterra, anche nel Regno Unito, in America. Il Covid è stato terribile. La guerra si è diffusa. Temo che sentiremo per molti anni l’impatto, le ricadute di questi terribili eventi. Ma serviamo il Dio che ha fatto risorgere Gesù Cristo dai morti. E perciò dico a me stesso e a tutti coloro che ascoltano: non abbiate paura. Dio rimane più grande di qualsiasi problema il mondo possa presentare.

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06 ottobre 2021, 15:00