Colombia: uccisi i giornalisti rapiti. Il cordoglio dei vescovi
“La firma dell’accordo di pace è stata molto importante per la Colombia, ma a Tumaco la pace non è mai arrivata – dice il presule - In generale posso dire che i gruppi dissidenti delle Farc controllano la produzione e il traffico della cocaina. In particolare - riporta l'Agenzia Sir - sono tre gruppi a contendersi il mercato della droga”. “L’Ecuador è appena al di là del fiume, in pratica la frontiera non esiste – conclude - Come Chiesa cerchiamo di impegnarci al massimo”, in una zona “lontana dalle città, dove mancano scuole, ospedali, possibilità di sviluppo”.
L’importanza della pace
Anche mons. Luis Cabrera Herrera, arcivescovo di Guayaquil e vicepresidente della Conferenza episcopale ecuadoriana richiama l’importanza della pace. “Gesù – scrive in una nota – ci offre la sua pace, però non come risultato dell’imposizione delle armi né della compravendita della coscienza, della libertà o della dignità. La sua pace sgorga dal sentirci amati e perdonati da lui”. I vescovi rivolgono un appello “ai governi dell’Ecuador e della Colombia, per creare o consolidare condizioni di vita più degne, fraterne e giuste, soprattutto nella zona di confine, sviluppando opportunità di lavoro e politiche di benessere sociale, e rafforzando al tempo stesso i sistemi di sicurezza”.
Suore scalabriniane: allarme per un crescendo di violenza
Una situazione drammatica sottolineata anche da suor Maria Lélis da Silva, che dirige la Missione scalabriniana in Ecuador: “La frontiera è diventata molto pericolosa – spiega - I gruppi guerriglieri dissidenti della Colombia hanno iniziato a riorganizzarsi e si sono ramificati. Una situazione che porta con sé ogni tipo di violenza: esecuzioni sommarie, tratta, estorsioni. Alcune zone vicino alla località di Mataje sono state minate”.
Lavorare sulla prevenzione
La religiosa aggiunge: “Segnali di quanto stava per succedere non erano mancati. La cosa più importante è sempre lavorare sulla prevenzione”. E cita ad esempio alcuni comunicati recenti, come quello di diverse realtà ecclesiali, emesso lo scorso febbraio, nel quale si chiedeva che la risposta agli attentati non fosse solo militare e di pubblica sicurezza, ma soprattutto di attenzione allo sviluppo e al rispetto dei diritti.
I gesuiti: territorio in mano al narcotraffico
Dal suo canto, Fernando López, direttore del Servizio gesuita ai rifugiati (Sjr), che spiega al Sir: “Si tratta di una situazione dolorosa e nuova per l’Ecuador, violenta e assurda. Io sono colombiano, ma vivo da molto tempo in Ecuador. In quanto sto accadendo vedo continuità con la situazione colombiana degli ultimi decenni, ma certe cose qui accadono per la prima volta”.
Una crisi che viene da lontano
Ciò nonostante il direttore del Sjr spiega che la situazione, anche se inedita, viene da lontano: “La frontiera tra i due Paesi è molto permeabile, negli anni della guerra colombiana 250mila persone si sono rifugiate qui. E già da tempo sono entrate anche persone legate alla guerriglia”. Dall’altra parte, “è il risultato di un abbandono grande di questo angolo di Paese, al quale stiamo assistendo. Così il territorio è in mano alle rotte del narcotraffico, del commercio di armi, della tratta.
La risposta militare non è una soluzione, serve la presenza dello Stato
Oltre il confine, in Colombia, lo Stato è praticamente assente. E qui in Ecuador il nuovo Governo non ha dato continuità a qualche progetto che era stato intrapreso”. Insomma, “quella militare non può essere l’unica risposta, lo Stato deve essere presente in maniera integrale”.
Le parole del Papa
Da ricordare che al Regina Coeli di domenica 15 aprile, Papa Francesco ha ricordato la drammatica uccisione dei giornalisti con queste parole “Con dolore ho ricevuto la notizia dell’uccisione dei tre uomini rapiti alla fine di marzo al confine tra Ecuador e Colombia. Prego per loro e per i loro familiari, e sono vicino al caro popolo ecuadoriano, incoraggiandolo ad andare avanti unito e pacifico, con l’aiuto del Signore e della sua Santissima Madre”. (Agenzia Sir)
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