Mons. Delpini: a Cuba lo zelo missionario apre orizzonti di speranza
Amedeo Lomonaco - Città del Vaticano
Una Chiesa con poche risorse ma ricca di gioia nell’annunciare il messaggio cristiano. E’ questo, in sintesi, il quadro della realtà ecclesiale di Cuba tratteggiato dall’arcivescovo di Milano, mons. Mario Delpini, dopo il suo recente viaggio nel Paese caraibico. Durante la visita, il presule ha incontrato, oltre alle comunità locali, tre preti ambrosiani inviati in missione nella diocesi di Santiago. I sacerdoti – ha affermato l’arcivescovo di Milano dopo il rientro in Italia – sono pochi e la partecipazione ordinaria alle celebrazioni è molto ridotta. Nonostante questo, si riscontra una “intraprendenza stupefacente e coraggiosa” che si riassume con il verbo “missionar”, l’andare in missione. Gruppi di giovani e anziani – ha spiegato il presule – si recano di casa in casa per invitare la gente a partecipare alla Santa Messa, a delle catechesi, ad incontri di preghiera. Mons. Delpini si è soffermato in particolare, ai nostri microfoni, sulla Chiesa e sulla realtà di Cuba:
E’ una Chiesa dalla vita stentata ma dallo zelo missionario vivo. Questa è la mia impressione.
Grazie a questo vivo zelo missionario si può sperare che in un Paese profondamente segnato dall’esperienza del comunismo, la fede del popolo cubano possa finalmente rifiorire, possa sostenere una primavera ecclesiale?
Questo per me è difficile da immaginare. Quello che mi hanno detto è che il comunismo ha segnato una svolta radicale nella vita di Cuba. Non ha esplicitamente condotto una campagna contro la Chiesa, contro i preti. Ma ha un po’ seminato un’impressione di insignificanza, l’idea che si possa fare a meno di Dio. Però, certamente, la situazione che ho trovato presenta delle possibilità di aprire degli orizzonti e di mostrare un percorso di speranza.
Anche per riaccendere la speranza nella gente, svolgono la loro missione a Cuba tre sacerdoti ambrosiani inviati proprio nel Paese caraibico in risposta alla richiesta di aiuto dell’arcivescovo di Santiago di Cuba. A quali realtà è rivolto, in particolare, il loro impegno pastorale?
Sono presenti in due parrocchie. L’attività che si svolge è quella della celebrazione dei sacramenti, quella della catechesi. Quello a cui si dedicano i nostri preti è quello di visitare singole comunità. Cercano di farne nascere altre laddove la presenza del prete non si era mai vista e di dar vita a piccole cellule per rigenerare un tessuto di vita cristiana.
Guardiamo anche al tessuto sociale di Cuba. Nel 2015, dopo oltre mezzo secolo di tensioni, è stato avviato grazie all’impegno della Santa Sede di Papa Francesco un processo di disgelo tra Cuba e gli Stati Uniti. Anche da un punto di vista sociale ed economico, si scorge sull’isola questo graduale processo di apertura al mondo?
R. - Cuba ha conservato sempre un’apertura al mondo avendo un orientamento privilegiato verso Paesi che condividevano la stessa ideologia, che sostenevano la rivoluzione cubana. Si sono recati a Cuba tre Pontefici: Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e Francesco. E, come mi hanno detto, ogni visita di un Papa ha contribuito ad una maggiore serenità: alcune cose hanno conosciuto un’evoluzione positiva. L’apertura al mondo è un po’ complessa da descrivere… C’è questo rapporto complesso con gli Stati Uniti, con provvedimenti di embargo che sono stati presi e che certamente creano delle difficoltà per un’apertura più ordinata, più semplice, più pacifica.
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