Iraq: a Ninive i cristiani stanno tornando alle loro case
Salvatore Tropea – Città del Vaticano
Dopo anni drammatici e interi villaggi devastati dalla furia dell’Isis, i risultati della ricostruzione in Iraq iniziano ad essere incoraggianti e a dare speranza. È quanto emerge dal comunicato di Aiuto alla Chiesa che Soffre, che meno di un anno fa ha lanciato un suo “Piano Marshall” per sostenere i cristiani iracheni, in particolare avviando i primi cantieri nei villaggi di Bartella, Karamless e Qaraqosh, poco distanti da Mosul.
Popolazione di nuovo a casa
Secondo il comunicato di Acs, al 25 marzo scorso sono oltre 8 mila le famiglie rientrate nell’intera Piana di Ninive, ovvero il 42% di quelle che erano state costrette a fuggire nell’agosto del 2014, che ammontavano a più di 19 mila. Quasi altrettante (ben 13 mila) erano le abitazioni distrutte dai jihadisti in poco meno di due anni e finora ne sono state riparate 3.249. I lavori sono stati portati avanti dal Comitato per la ricostruzione di Ninive, istituto il 27 marzo 2017 dalle Chiese presenti in Iraq, ovvero caldea, siro-cattolica e siro-ortodossa, con il supporti di Acs. La Chiesa locale, dunque, “sta facendo di tutto per incoraggiare i cristiani a tornare nelle loro case”, come sottolinea mons. Louis Raphael Sako, patriarca di Babilonia dei Caldei in Iraq. “È fondamentale – spiega mons. Sako – che la gente ritorni nelle abitazioni perché c’è anche il pericolo che qualcun altro le occupi e se ne impossessi”.
Le difficoltà continuano
La situazione nella zona rimane però difficilissima. Le tensioni politico-sociali sono ancora molto alte, soprattutto per gli attriti tra il governo di Bagdad e quello del Kurdistan. Inoltre, proprio per quanto riguarda la condizione economica, la strada che unisce Mosul alla Piana di Ninive è ancora chiusa e i cristiani non possono raggiungere la città per cercare lavoro. C’è anche l’incertezza delle prossime elezioni parlamentari che si terranno il prossimo 12 maggio e “la gente – come spiega mons. Sako – attende per capire se ci sarà un nuovo governo che si occupi maggiormente della questione sicurezza”.
Cosa c’è ancora da fare
Dall’inizio dell’avanzata del sedicente Stato Islamico nel giugno del 2014, Aiuto alla Chiesa che Soffre ha sostenuto progetti emergenziali e umanitari in Iraq per oltre 37 milioni di euro. Un supporto economico sicuramente fondamentale, però secondo mons. Sako “non c’è bisogno solo di denaro, ma anche di speranza e di sostegno umano e spirituale”. La popolazione irachena, infatti, “ha sofferto per più di tre anni e mezzo, dunque è fondamentale stare accanto a queste persone per permettere loro di avere il coraggio di ritornare nelle proprie terre”.
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