È Beato Janos Brenner, il “Tarcisio” d’Ungheria
Roberta Barbi e Roberto Piermarini – Città del Vaticano
“Tutto concorre al bene di coloro che amano Dio”. Questo il centro della prima omelia che Janos Brenner pronunciò appena ordinato sacerdote e questo anche il pensiero che lo guidò nella sua brevissima vita sacerdotale, in cui tutto concorse davvero al bene, compresa la sua morte, perché il suo sangue contribuì a far germogliare il seme del cristianesimo nell’Ungheria ammutolita dal comunismo. I frequenti momenti di preghiera intensa che facevano parte della sua vita familiare, invece, avevano fatto germogliare la vocazione sua, dei fratelli e perfino dei nipoti, ma il sorriso e la serenità di Janos erano lo specchio esteriore di una grandezza interiore che ritroviamo nei suoi diari, in cui scriveva: “Questo è il colmo dei miei desideri: essere Santo, essere benedetto e benedire anche gli altri!”.
Profetica l’interpretazione del giovane Tarcisio
La sua era una famiglia unita e devota, in cui la recita del Rosario, la frequentazione della Messa e dell’Eucaristia erano la quotidianità, perciò fu mandato alla scuola elementare episcopale della sua città, Szombathely. Qui, in uno spettacolo teatrale, interpretò Tarcisio, il giovane adolescente romano che nel 257 d.C. morì per proteggere l’Eucaristia che stava portando ai cristiani in carcere. A Janos, 20 anni dopo, sarebbe toccata la stessa morte, quella dei martiri, in odium fidei. In seguito studiò dai Cistercensi e dai Premostratensi, di cui, dopo il diploma, divenne novizio col nome di fra Anastasio; ma intanto la situazione in Ungheria degenerava e tutti gli ordini furono soppressi, perciò, dopo un primo periodo in cui riuscì a proseguire il noviziato in clandestinità, si spostò a studiare nel seminario diocesano.
I giovani: obiettivo del regime ostacolato dalla Chiesa
Non ci volle molto a don Janos per farsi amare da tutti: il suo sorriso, l’amore che spigionava l’intera sua figura restavano indelebilmente impressi in chiunque lo incontrasse. Sapeva parlare al cuore dei giovani e dei vecchi, non respingeva né deboli, né poveri né zingari, e riusciva ad avvicinare alla Chiesa decine di persone: per questo la sua popolarità crebbe e ben presto se ne accorse anche il regime comunista, diventato ancora più spietato dopo la rivolta del 1956. “Purtroppo in quegli anni tragici in Ungheria c’era una forte persecuzione comunista anticattolica – testimonia il cardinale Angelo Amato – la Chiesa veniva combattuta e umiliata nei suoi pastori e nei suoi fedeli. Il regime creò anche un movimento di preti per la pace con l’intento di portare discordia e divisione nel clero”. Il vescovo, intuendo che per Brenner la situazione stava diventando pericolosa, provò a trasferirlo altrove, ma il giovane prete non ne voleva sapere: confidava pienamente in Dio e continuava a sorridere, nonostante fosse uscito indenne da un attentato.
L’inganno, il martirio e la fama di santità
La sera del 15 dicembre 1957 don Janos fu raggiunto da un ragazzo che lo pregava di visitare il proprio zio che, in procinto di morte, avrebbe voluto confessarsi. Il giovane sacerdote non esita un attimo: si mette al collo la teca contenente l’olio sacro e l’Eucaristia e parte alla volta di Zsida, un paesino sperduto e distante. Lungo la strada, in un luogo solitario in cui oggi sorge la cappella del Buon Pastore a commemorazione del sacrificio della sua vita, cade in un’imboscata: viene ucciso con 32 coltellate, poi, come se non bastasse, il suo corpo è preso a calci e pugni fino a spezzargli l’osso del collo. Fu trovato con la mano sinistra ancora chiusa a proteggere la teca che portava con sé. Nonostante le indagini sul suo assassinio fossero state più volte depistate, il ricordo di quel giovane prete crebbe e si rafforzò nel cuore della gente che, sebbene il suo funerale fosse stato rimandato di ora in ora, riuscì a tributargli comunque gli onori che si attribuiscono ai martiri. “Don Janos educava i giovani alla vita buona del Vangelo, a rispettare il prossimo, ad aiutare i bisognosi, a promuovere la concordia nelle famiglie – conclude il porporato – era amato da tutti, grandi e piccoli, per la limpidezza del suo sguardo e la giovialità del suo tratto. Era questo che aveva irritato il partito al potere, che pretendeva il monopolio dell’educazione atea e anticristiana”.
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