Padre Pedro e Akamasoa: modello di sviluppo per i poveri
Marco Guerra – Città del Vaticano
La forte disciplina individuale, familiare e sociale, fondata sulla responsabilità personale ed una ferma convinzione nella Provvidenza. Questi sono gli ingredienti che hanno dato grandi frutti alla comunità di Akamasoa, fondata in Madagascar da Padre Pedro Opeka, missionario delle Congregazione della Missione, classe 1948, nato da genitori di origine slovena, emigrati in Argentina per sfuggire alla dittatura di Tito, e che da oltre 40 anni opera in mezzo ai più poveri della terra.
Progetto sostenuto da Argentina, Principato di Monaco e Slovenia
Questo modello per lo sviluppo integrale della persona umana, che coinvolge i poveri rendendoli protagonisti delle loro esistenze, è stato presentato questa mattina alla Sala Stampa Estera dallo stesso padre Pedro Pablo Opeka insieme al Superiore Generale della Congregazione della Missione , Padre Tomaž Mavrič. A prendere parte alla conferenza stampa anche alcuni rappresentanti delle ambasciate presso la Santa Sede: Argentina, Principato di Monaco e Slovenia che sostengono da sempre l'operato di Padre Opeka.
Padre Pedro e i poveri del Madagascar
Tutto ha avuto inizio nel 1989 quando Padre Pedro prese coscienza della situazione di degrado in cui versavano i poveri che vivevano nella discarica di Tananarive, la capitale del Madagascar, luogo di rifugio di disperati cacciati dalla città. Questa immagine, il vedere uomini, donne e bambini che vivono in condizioni così disumane, ha spezzato il cuore di Padre Pedro Opeka che iniziò così a cercare un modo per aiutare questi poveri. Il missionario sviluppò una sua idea su come aiutare le persone ad aiutare se stesse: vicino alla discarica c'era una cava di granito, chiunque fosse disposto a lavorare poteva produrre mattoni, ciottoli, lastre e ghiaia da vendere alle imprese edili. E così, sotto la direzione del religioso vincenziano argentino, gli abitanti della discarica si unirono, iniziando a vedere, attraverso il loro lavoro, un piccolo barlume di speranza.
25.000 poveri nei villaggi di Akamasoa
La trasformazione che seguì stupì tutti: cominciò così a svilupparsi una vivace comunità. Ascoltandosi l'un l'altro e istituendo comitati per rispondere ai bisogni dei lavoratori - come la cura dei malati e la sorveglianza dei bambini - le persone che vivevano in condizioni subumane divennero consapevoli della propria dignità. Trent’anni dopo una comunità conosciuta come "Akamasoa", in italiano "Buoni Amici", vive in quelle case auto-costruite, che formano diciotto villaggi che hanno negozi, officine, fontane e illuminazione. Attualmente circa 25.000 persone beneficiano di questo progetto e vivono in questi villaggi; 30.000 mila poveri ogni anno vengono ad Akamasoa per aiuti specifici e 13.000 bambini accedono ad un percorso scolastico. Tutti ora possiedono le loro case di mattoni. Tutti hanno acqua pulita e assistenza sanitaria. Tutti i loro figli vanno a scuola.
La Messa domenicale
Ad Akamasoa è molto importante anche la cura dello spirito. La Messa domenicale è una celebrazione straordinaria, circa 8.000 persone partecipano attivamente, pregando e cantando con cuore riconoscente. A tal proposito, Padre Pedro ha raccontato dell’arrivo di molti turisti stranieri che vengono attirati dalla celebrazione che dura più di tre ore, alla fine delle quali anche molte persone che si professavano atee hanno sentito la chiamata di Dio nel cuore.
Prosegue il sostegno della diplomazia
L’ambasciatore del Principato di Monaco presso la Santa Sede, Claude Joël Giordan, ha sottolineato che c’è la volontà di continuare a sostenere Akamasoa poiché si tratta di un progetto molto concreto che dona dignità alle persone. Giordan ha poi ricordato che tra i compiti del corpo diplomatico c’è proprio quello di mettersi al servizio del bene comune.
Ad Akamasoa il vero spirito vincenziano
Infine il Superiore Generale, Padre Tomaž Mavrič ha evidenziato che grazie ad Akamasoa i poveri hanno imparato a prendere decisioni sulla loro vita. “San Vincenzo diceva che i poveri sono i nostri maestri”, ha concluso Padre Mavrič, “ad Akamasoa questo è vero”.
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