Il commento di don Fabio Rosini al Vangelo di Domenica 1 luglio 2018
Il Vangelo di questa domenica (Mc 5, 21-43) racconta la storia di due donne: una ragazza di dodici anni, morente, figlia di uno dei capi della sinagoga, di nome Giàiro, e una donna che aveva perdite di sangue da dodici anni e “aveva molto sofferto per opera di molti medici, spendendo tutti i suoi averi senza alcun vantaggio, anzi piuttosto peggiorando”. Gesù le guarisce entrambe. Questo brano evangelico ci dice che solo Gesù dà la vita, non la nostra religiosità o la sapienza umana. Come facciamo noi di fronte ai problemi della nostra vita, di fonte alle nostre perdite di sangue, di fronte al nulla che ci artiglia nell’esistenza, con gli imprevisti, le tribolazioni, le nostre perdite di vita? Come le affrontiamo? O con la sapienza umana, la razionalità, o con una logica religiosa per cui andiamo dal santone a cercare il miracolo o cerchiamo soluzioni che non sono matura vita della fede ma infantilismo religioso. Ecco, questo bisogna lasciarlo. Cristo porta la grazia, porta la vita di Dio. E c’è una relazione: un padre deve accettare di non essere più capace di fare il padre; deve accettare che il Padre vero è Dio; deve consegnare a Cristo la sua paternità. E una donna deve toccare il Signore. Toccare il Signore, arrivare ad avere la vita perché hai un contatto con Lui. Non una sapienza, non un capire. Noi facciamo progetti, inneschiamo logiche, anche pastorali, sapienze, sociologie, visioni di grande profondità analitica… e non produciamo vita. Perché il problema è toccare il Signore Gesù. Toccare il suo mantello. Toccarlo, nella realtà. Avere una esperienza di Lui. Essere in contatto con la sua vita: è la sua vita che guarisce la nostra vita, non la sapienza. Non è la sapienza umana che ci darà la soluzione. La sapienza umana ci serve per avere un punto di riferimento per capire le cose, ma non per salvare le cose. Le cose le salva l’unico Salvatore.
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