Mons. Nosiglia: nel Mediterraneo si rinnova la strage degli innocenti
Roberto Piermarini - Città del Vaticano
“Nel Mediteranneo, che i romani chiamavano “mare nostrum”, il “nostro mare” che univa l’Europa all’Africa e all’Oriente, si rinnova la strage degli innocenti. Purtroppo – detto nella sua omelia mons. Cesare Nosiglia - l’immigrazione verso il nostro Paese, che è esplosa in tempi e modalità sempre più intensi, ha suscitato in tanti, anche credenti, serie difficoltà nell’accettare quella accoglienza serena e positiva che dovrebbe essere propria di un popolo, come il nostro, che di emigranti ha riempito il mondo. “L’accoglienza, che comprende ovviamente anche il salvataggio in mare degli immigrati, in barconi spesso fatiscenti – ha aggiunto il presule - rappresenta un necessario passo, che dovrebbe essere posto alla base del nostro rapporto con ogni persona che chiede aiuto, sia italiano che straniero”.
Appellarsi alla responsabilità degli altri Stati europei non può diventare un alibi per chiuderci a riccio
L’arcivescovo ha indicato poi come “giusto e doveroso” appellarsi “alla responsabilità degli altri Stati europei per affrontare insieme il problema dell’immigrazione in atto, in forte crescita”. Ma è consapevole che “non può diventare un alibi per chiuderci a riccio e rifiutare e abbandonare al loro destino quanti giungono nei nostri mari, dopo lunghe e dolorose esperienze di guerra o di povertà estrema, molti dei quali anche minori e donne indifese, che hanno dovuto subire violenze di ogni genere”.
L’integrazione dei migranti può far crescere il bene comune dell’intera società
“L’accoglienza dei senza dimora, di coloro che hanno perso la casa e il lavoro e degli immigrati e rifugiati non basta a garantire loro una vita serena e dignitosa. Occorre procedere poi con l’accompagnamento, l’integrazione, la formazione, lo sbocco occupazionale, la condivisione dei propri valori culturali, religiosi e sociali” ha sottolineato mons. Nosiglia indicando i “passi necessari per garantire a ognuno quella autonomia che permette non solo di impostare per il futuro la propria vita, ma di contribuire con il proprio apporto alla crescita del bene comune dell’intera società”. “Così, tanti fratelli e sorelle poveri o immigrati possono rappresentare anche una risorsa per la comunità civile”, ha aggiunto il presule, che ha espresso la sua preoccupazione.
Popolo di Dio e comunità civile sono apatici all’accoglienza dei migranti
“Mentre c’è una larga schiera di volontari e realtà laiche e religiose che si coinvolgono con i problemi della povertà e delle necessità sia di italiani che stranieri, il popolo di Dio e la comunità civile restano spesso apatici e sembrano subire la situazione senza reagire, mostrando insofferenza, pregiudizi e ostilità”. Quindi, l’invito a “operare, oltre che in favore dei nostri fratelli e sorelle in difficoltà, anche sul campo educativo e formativo, culturale e sociale, oltre che religioso”. Con un obiettivo: “Sostenere le ragioni dell’accoglienza nella mentalità, nello stile e scelte di vita di ogni membro della comunità”.
Per l’accoglienza, alleanza con le Chiese cristiane e fedeli dell’islam
Dall’arcivescovo l’invito alle Chiese cristiane e ai fedeli dell’Islam a fare “un patto di alleanza per raggiungere questi obiettivi comuni”. Quella auspicata è “una politica e un’azione congiunta, sia sul piano religioso che culturale e sociale, capace di affrontare questo problema con giustizia e solidarietà”.
Nella veglia ricordati i morti nel mar Mediterraneo
Hanno aderito alla veglia di ieri organizzata a Torino per i migranti dalla Comunità di Sant’Egidio, la Fondazione Migrantes e la Federazione delle Chiese Evangeliche. Durante la preghiera sono stati ricordati i nomi di quanti hanno intrapreso i viaggi della speranza e sono morti in questi ultimi mesi nel tentativo di arrivare in Europa. «Dal 1990», ricorda la Comunità di Sant’Egidio, «sono morte lungo le frontiere dell’Europa almeno 36.000 persone. Nel 2017 le vittime sono state 3.139, quasi 10 morti al giorno, mentre da gennaio 2018 ad oggi, nonostante la diminuzione degli sbarchi, sono state inghiottite dal mare Mediterraneo oltre 1000 persone, senza contare chi ha perso la vita nella traversata del deserto o alle frontiere. Restituire il nome perduto negli abissi non è solo un gesto di pietà umana e cristiana, ma un interrogativo personale, in qualche modo, un incontro diretto con sofferenze disumane che noi non immaginiamo nemmeno».
Grazie per aver letto questo articolo. Se vuoi restare aggiornato ti invitiamo a iscriverti alla newsletter cliccando qui