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Vescovi Filippine: preghiera e digiuno contro la criminalità

Dopo le ultime tensioni tra il presidente Duterte e la Chiesa filippina, i vescovi del Paese asiatico hanno indetto tre giorni di preghiera, digiuno ed elemosina per invocare la misericordia di Dio su quanti sono autori di atti violenti e criminali. Le speranze e i timori nelle parole del padre missionario Stefano Mosca

Gabriella Ceraso- Città del Vaticano

Cellule islamiste, droga, omicidi e povertà: sono tante le difficoltà che segnano le Filippine e che la Chiesa del Paese vive stando accanto alla gente, alzando la voce se necessario e prendendo diverse iniziative. Così dopo aver diffuso l'Esortazione "Rallegratevi e siate gioiosi" con la quale incoraggiano a non lasciare l'ultima parola alla paura, soprattutto nei momenti di difficoltà e persecuzione, i vescovi del Paese hanno indetto da ieri tre giorni di preghiera, digiuno ed elemosina.

Invocare la misericordia di Dio sul Paese

La motivazione della Conferenza episcopale è "invocare la misericordia di Dio su coloro che hanno bestemmiato il Suo santo nome, su coloro che diffamano e portano falsa testimonianza, su quanti commettono omicidio o giustificano l'omicidio come mezzo per combattere la criminalità nel nostro paese". L'iniziativa nasce dopo le ultime tensioni tra il presidente Duterte e la Chiesa filippina confermate dalle parole del missionario a Lake Wood, padre Stefano Mosca: “Ci sono continui ammazzamenti di gente per droga, casi di violenza" ci racconta, facendo riferimento anche al " federalismo che il presidente vuole fare adesso nelle Filippine e che rappresenta una fatica immane perchè praticamente, ogni regione resterebbe a sé, e ci sono alcune regioni che non possono vivere senza aiuti da Manila". Poi la sottolineatura delle parole di Duterte: "se ne è uscito con una frase un po’ del tipo 'come si fa a credere a un Dio della Genesi! Sono stupidi i cristiani che credono in questo Dio!” Da qui, dice, la reazione dei vescovi in una Lettera pastorale destinata a tutte le parrocchie, e la volontà di intensificare le preghiere per il Paese. (Ascolta l'intervista a p. Stefano Mosca sulla situazione nelle Filippine)

La violenza: uno stillicidio quotidiano

La realtà è molto complessa. La povertà, sottolinea padre Mosca, muove gli ingenti traffici di droga che arrivano dalla Cina e innescano una spirale di violenza infinita. "I poliziotti ammazzano gli spacciatori e le famiglie si vendicano". Le parole del Presidente e le sue promesse di sconfiggere il flagello della droga sono fallite: il suo stile, afferma il missionario, è "ammazzare tutti quelli che spacciano droga; e molti non sono neanche spacciatori, sono povera gente che vende una pastiglia di shaboo per mettere insieme due soldi per mangiare. E vengono uccisi sulla strada, senza problemi, davanti a tutti e senza regolare processo. E’ uno stillicidio. Poi dietro ogni morto c'è una famiglia che resta senza padre. Noi preghiamo, chiediamo anche alla Madonna che qui nelle Filippine è molto venerata, che ci aiuti a risolvere questi problemi. Non servono le pallottole, ma la buona volontà di tutti”.

La Chiesa per la rieducazione

Padre Stefano confessa che la speranza è che la gente non si lasci più "abbindolare dalle parole del presidente" e rimarca quale è l'impegno della Chiesa perchè non sia la logica della violenza a prevalere, ma la rieducazione, la formazione professionale e l'avviamento al lavoro. Il missionario del Pime ammette che la fede del popolo filippino è messa a dura prova: "la fede", afferma, "oramai sta cendendo il passo alla logica del denaro. Gli omicidi toccano in modo marginale la gente". Serve alzare la voce. "Io - ammette - a volte durante le prediche alzo la voce e dico: ‘No!' La gente ti dice anche: 'Hai ragione, padre, ma cosa facciamo?' Hanno paura. La gente ci dà ragione, ma ha paura".

 

 

 

 

 

 

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17 luglio 2018, 14:50