Filippine: sacerdote si nasconde dopo critiche a Duterte
Salvatore Tropea - Città del Vaticano
Un sacerdote filippino, il redentorista padre Amado L. Picardal, di 63 anni, è stato costretto a nascondersi in seguito ad alcune minacce ricevute per aver criticato il presidente Rodrigo Duterte. A renderlo noto è stato lo stesso religioso, comunicando all’Agenzia Fides di essersi ritirato “in un luogo sicuro, fuori dalla vista pubblica”, in particolare dopo che alcuni uomini sospetti in motocicletta hanno iniziato a sorvegliare il monastero della città di Cebu, dove padre Picardal viveva. Il sacerdote ha quindi riferito di ritenere la sua vita in pericolo e di doversi trasferire lontano dalle minacce “degli squadroni della morte”, ovvero le bande che molti critici di Duterte ritengono responsabili degli omicidi extragiudiziali per contrastare il traffico e lo spaccio di droga nel Paese.
Padre Picardal in prima linea contro le uccisioni
Il sacerdote, ufficiale della Conferenza episcopale delle Filippine e professore di teologia, da molti anni è uno dei principali critici della repressione lanciata dal Presidente Duterte, già da quando quest’ultimo era sindaco di Davao, una vasta città portuale nel sud del Paese. Il redentorista ha infatti fatto sapere che continuerà a criticare quelle che vengono chiamate “uccisioni di Stato” e ha confermato di essere disposto a testimoniare alla Corte penale internazionale. Davanti alla Corte, infatti, è attualmente in corso un procedimento che vede imputato proprio il Presidente Duterte, in relazione alle uccisioni della campagna anti-droga che, secondo dati ufficiali, ha fatto oltre 4.500 morti per opera della polizia, e oltre 16mila vittime, inclusi bambini e civili innocenti, per mano di bande killer non identificate.
Le denunce e i testimoni minacciati
Dal 1998 al 2015, ovvero gli anni durante i quali Rodrigo Duterte è stato sindaco di Davao, padre Picardal ha stilato – come lui stesso ha fatto sapere – un report sulle uccisioni per contrastare la droga e ha aiutato la Commissione sui diritti umani nelle indagini. Indagini che, secondo il sacerdote redentorista, si sono concluse senza esiti perché i vari testimoni nel corso degli anni “erano stati minacciati”. Picardal ha anche contribuito a dare una protezione agli ex membri delle bande killer che si sono pentiti e che possono essere dei testimoni fondamentali nel processo contro il Presidente filippino. Il sacerdote, nei mesi scorsi, aveva anche attirato l’attenzione dei mass media per un lungo percorso in bicicletta compiuto proprio per denunciare queste uccisioni.
La risposta delle istituzioni statali
Il portavoce del Presidente Duterte, Harry Roque, come riportato anche dal principale quotidiano nazionale, il Philippine Daily Inquirer, ha dichiarato che padre Picardal “dovrebbe cercare un rimedio legale invece di dichiarare semplicemente che la sua vita è in pericolo”. Roque si riferisce alla possibilità di fare una petizione all’Alta Corte, istituita per proteggere i diritti umani di chiunque si senta minacciato dalle forze statali.
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