Una santa per atei e sposi: è Madre Teresa, secondo padre Cantalamessa
Giada Aquilino - Città del Vaticano
La prima pietra su cui poggia la santità di Madre Teresa è “la risposta ad una chiamata”, è “l’obbedienza ad un’ispirazione divina, vagliata e riconosciuta come tale”. Così padre Raniero Cantalamessa, predicatore della Casa Pontificia, nel dicembre del 2003, poco dopo la beatificazione di Madre Teresa di Calcutta, avvenuta il 19 ottobre dello stesso anno. Il cappuccino tenne le consuete prediche d’Avvento nella Cappella Redemptoris Mater del Palazzo Apostolico, alla presenza di Papa Giovanni Paolo II e della Curia romana: ora, alla vigilia del 5 settembre, giorno in cui la Chiesa ricorda la santa, padre Cantalamessa raccoglie quelle meditazioni in un libro, “Madre Teresa - Una santa per gli atei e gli sposati”, in vendita da oggi per le Edizioni San Paolo (Ascolta l'intervista a p. Cantalamessa).
Padre Cantalamessa, nelle prediche d’Avvento del 2003, riportate ora nel libro "Madre Teresa - Una santa per gli atei e gli sposati", lei evidenziò che la prima pietra su cui poggia la santità di Madre Teresa è la risposta a una chiamata: quale?
R. - A parte la prima chiamata che l’ha fatta diventare religiosa, ci fu una seconda chiamata, con cui il Signore le chiedeva di lasciare l’ordine religioso, la vita che aveva condotto fino ad allora, per iniziare un’opera che al principio la spaventò: cioè creare un nuovo ordine di suore indiane che fossero al servizio dei più poveri tra i poveri. Io paragono questa chiamata a quella di Abramo, il quale non aveva motivi morali per uscire da Ur dei Caldei, ma il Signore gli chiedeva proprio questo. E difatti Madre Teresa all’inizio ebbe un po’ di resistenza, perché si trovava bene nell’ordine delle suore di Loreto. Ma questo è un po’ sempre l’inizio di un’avventura di santità. Rispondere a una chiamata, a qualcosa di nuovo, che per lei era questa grandiosa opera, che poi abbiamo conosciuto.
Lei si soffermò anche sull’oscurità che accompagnò la vita terrena di Madre Teresa. Come la santa riuscì ad amare quella oscurità?
R. - Questo fu l’elemento che un po’ sconcertò il mondo quando furono pubblicati i diari intimi di Madre Teresa, perché lei parlava di questa oscurità come di un’“assenza di Dio”, anzi credeva praticamente di essere atea e di non sentire Dio. Questa è una spiegazione molto classica nel cristianesimo: la notte oscura dello Spirito. Alcune anime sono chiamate a vivere praticamente nell’assenza di Dio. Dio è evidentemente quanto mai presente in loro, però non lo sentono. Questa è una prova di purificazione: serve a purificare la fede dei santi. Nella predica, io dico che Madre Teresa aveva anche altri scopi, altre spiegazioni. Una era quella di proteggerla, come una tuta di amianto: lei che doveva andare tra le fiamme della pubblicità, dei media. Quindi questo vuoto interiore, questa “desolazione” - perché questo è il termine, la desolazione che viveva - la proteggeva dall’ebrezza della fama. E poi un’altra spiegazione, a mio parere, è che Madre Teresa viveva un po’ quello che vivono gli atei, una categoria particolare di essi: quelli che non si vantano del loro ateismo ma lo vivono come un’angoscia esistenziale, un vuoto interiore, che è un po’ quello che diceva Albert Camus, i “santi senza Dio”. Una santità fatta di dedizione agli altri, però senza la fede in Dio. Madre Teresa ha condiviso un po’ questa situazione, quindi per questo dico che è una santa per gli atei. E anche per gli sposati, perché c’è un’analogia, nel matrimonio avviene un po’ quello che avviene nella vita dei santi: all’inizio ci sono le attrattive, l’attrazione reciproca, le consolazioni e poi via via può arrivare il tempo in cui non si sperimenta più niente, bisogna continuare ad amare non tanto per la consolazione che si riceve dall’altro, quanto per puro amore. E Madre Teresa è un po’ un esempio per questo: perseverando, cioè continuando ad amare, quando non c’è più l’attrattiva iniziale. Ciò purifica l’amore. E difatti molti coniugi, al termine della loro vicenda, sono pronti a dire che l’amore maturato dopo questo tempo è più puro di quello di prima.
Nel 2003, lei predicò in Cappella “Redemptoris Mater” alla presenza di San Giovanni Paolo II, già duramente provato dalla malattia, e sottolineò come Papa Wojtyla si stesse consumando da anni nel “servizio dello Spirito”. Tale servizio di Papa Giovanni Paolo II e di Madre Teresa che sorgente ha avuto?
R. - Madre Teresa aveva come due illuminazioni: una era il sitio (ho sete) di Gesù, la sete di amore; l’altra il servizio dei poveri. E parlando del suo servizio dei poveri, ricordavo che per Madre Teresa la povertà maggiore era quella di Dio, la povertà dello Spirito. Wojtyla era un esempio di questa dedizione al servizio dello Spirito: si era consumato e in quel momento, essendo come tutti ricordano in quelle condizioni di salute, potevo permettermi anche un po’ di parlargli quasi direttamente. Per cui, a un certo punto, mi rivolgevo quasi a lui dicendo che nella sua vita aveva dato un esempio a tutti di una vita spesa per gli altri.
Perché dare ora alle stampe il libro su Madre Teresa?
R. - Io non pubblicai, contrariamente a quanto faccio di solito, quelle prediche dopo averle pronunciate, perché citavo nelle prediche alcuni testi dei dialoghi riservati di Madre Teresa che non erano ancora stati pubblicati ufficialmente. Inoltre ho avuto occasione di fare un ritiro in Albania, l’anno scorso, e ho visto cos’è Madre Teresa adesso per gli albanesi. Tutto ciò, unito al fatto che c’è stata l’esortazione apostolica Gaudete et exsultate di Papa Francesco sulla chiamata alla santità nel mondo contemporaneo, mi ha fatto ricordare che Madre Teresa è uno degli evidenti esempi - insieme a Padre Pio, che io cito come il “fratello” di Madre Teresa - di santità moderna. La santa, d’altra parte, ricordava alle sue sorelle il famoso Vangelo “delle cinque dita”, “You did it to me”, voi l’avete fatto a me, cioè l’unione tra Gesù e il servizio dei poveri era inscindibile.
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