È Beata Alfonsa Maria Eppinger, l’estatica di Niederbronn
Roberta Barbi – Città del Vaticano
(Ultimo aggiornamento ore 12.24)
“Soffri, taci e prega, perché Dio ti vuole una gran Santa”. Questo si ripeteva Elisabeth Eppinger (questo il suo nome di battesimo, divenne Alfonsa Maria in omaggio a S. Alfonso Maria de’ Liguori dopo aver preso i voti) fin dall’infanzia e proseguì poi per tutta la vita, traendo dalla sua profonda fede la forza di sopportare tutte le prove che il Signore le mandava. E pur attraversando l’esperienza dell’estasi, pur avendo fama di mistica, dovendo sopportare le violenze del maligno e pur diventando Madre di molte suore (tre le congregazioni che oggi la riconoscono come propria fondatrice), per tutta la vita si mantenne quella persona umile, incolta ma saggia che a malapena sapeva scrivere il proprio nome.
Un’infanzia difficile segnata dalla malattia
Elisabeth nacque e crebbe in quella pianura tra Alsazia e Lorena che proprio nel XIX secolo vide più volte spostare il confine tra Francia e Germania. Le condizioni modeste della sua famiglia, campagnola e molto cattolica, e l’essere la prima di undici figli la portarono fin da piccola a dare una grossa mano in casa, ma le causarono anche grande sofferenza: di salute cagionevole, infatti, spesso costretta a letto per mesi, sentiva di essere un peso per genitori e fratelli. Così, trovandosi spesso sola, passava la maggior parte del tempo con Dio, pregandolo e adorandolo. L’impossibilità di studiare con regolarità, inoltre, la fece arrivare alla Prima Comunione solo a 14 anni, e lì cambiò tutto: l’Eucaristia divenne la forza che la sostenne per tutta la sua vita.
Il dono speciale dell’estasi
La malattia e il dolore le riservarono un altro dono meraviglioso: nel 1846, durante un decorso particolarmente lungo e difficile, provò per la prima volta l’esperienza dell’estasi: sentiva Gesù concretamente accanto a lei che le parlava e la confortava. Veniva trasportata fuori da sé e perdeva coscienza del suo corpo: durante queste esperienze Gesù le mostrava i suoi peccati spingendola a pregare per la salvezza di tutte le anime, la rendeva partecipe delle sofferenze del Papa e della Chiesa facendola impegnare per l’urgente santificazione dei sacerdoti, e le donava visioni anche inerenti la politica. Tutto quanto, lei lo riferiva al suo confessore e questi al vescovo: entrambi constatarono in quella donna il dono della veggenza, della profezia e del saper scrutare i cuori. Intanto iniziò a circolare la voce di questi prodigi tanto che, seppure Elisabeth rifuggisse il clamore della folla, molti si recavano alla casa dei suoi genitori e chiedevano di vederla per avere un consiglio o un conforto, aiuto che lei non negava a nessuno, precisando che era il Signore, attraverso di lei, a concederlo. “Come puoi concedere tante grazie a me, che sono così piccola, che non sono nulla?”, si chiedeva Elisabeth che nel frattempo riceveva anche le visite del maligno negli stessi anni in cui accadeva più o meno la medesima esperienza al parroco di Ars, il futuro San Giovanni Maria Vianney.
Un carisma tutto particolare
Poiché malattia e dolore erano sempre stati parte importante della sua vita, divennero anche il centro del carisma della nuova congregazione di suore che il Signore a un certo punto la chiamò a fondare. Infatti, per prudenza riguardo al clamore che lei aveva suscitato, fino ad allora il vescovo le aveva impedito di entrare in un ordine religioso precostituito, desiderio che lei bramava più di tutto. Era il 1849 quando Elisabeth si trasferì assieme ad altre giovani suore in una casa presto indicata in dialetto come “piccolo convento”, dandosi una semplice regola, che anche il Papa questa domenica all'Angelus ha lodato: contemplare nel Vangelo il cuore di Gesù e il suo atteggiamento verso tutti coloro che soffrono nel corpo e nello spirito ed essere come il Buon Samaritano per i bisognosi. Così le Figlie del Divino Redentore iniziarono ad andare nelle case dei più poveri e ammalati senza distinzione di religione o ceto sociale, per rispondere ai loro bisogni materiali e spirituali, da vere missionarie della carità. Ma poiché l’amore si moltiplica per divisione, presto nacquero altre 14 case come il “piccolo convento”, poi ci fu la guerra in Crimea e le religiose sperimentarono il servizio di consolazione ai moribondi sui campi di battaglia, mentre la Provvidenza continuava a operare munifica portando altre vocazioni e, oltreconfine, due nuovi rami della congregazione, in Germania, Austria e Ungheria, che poi diventeranno indipendenti. Ancora oggi nelle orecchie delle religiose, che ormai operano nei cinque continenti, risuonano le parole della fondatrice: “Non negate nulla ai malati, perché quanto negate loro, lo negate al Salvatore”.
Grazie per aver letto questo articolo. Se vuoi restare aggiornato ti invitiamo a iscriverti alla newsletter cliccando qui