Paolo VI e la nascita del quotidiano Avvenire
Forse è poco nota la vicenda della nascita di Avvenire. Non tutti sanno che fu l’esito della fusione di due quotidiani: L’Italia e L’Avvenire d’Italia; che fu un’idea di Paolo VI; che il pontefice bresciano impose la sua volontà all’episcopato italiano, in gran parte contrario all’iniziativa; che Montini confessò che il primo giornale che leggeva al mattino era proprio Avvenire. Eppure questa storia – raccontata dal direttore del giornale Marco Tarquinio e dalla storica Eliana Versace – costituisce soltanto il nobile sfondo della puntata odierna del nostro WebDoc.
I giornalisti
La clip, infatti, si muove su un doppio binario. Oltre a quello di Avvenire ce n’è un secondo che riguarda il rapporto fra Paolo VI e i giornalisti di cui spesso si parla. Su quest’ultimo fronte il filo rosso è rappresentato da alcuni inserti audio tratti dal discorso che Montini fece – a braccio in diversi passaggi - ai giornalisti della Stampa estera in Italia, ricevuti in udienza il 28 febbraio 1976. “L’onore della vostra professione - disse - è quello di essere i difensori accreditati della verità, i giustizieri del bene e del male, i formatori della coscienza morale e civica dell’opinione pubblica”.
La deontologia
“Paolo VI era figlio di un giornalista”, ricorda Tarquinio. E in quell’occasione, nel 1976, Montini parlò in modo puntuale dei doveri dei giornalisti nonché dei rischi derivanti dall’esprimere giudizi e dal diffondere informazioni parziali. Insomma un intervento da manuale di deontologia che ancora oggi, dopo oltre 40 anni, nell’era delle ‘fake news’, ha la sua valenza. “L’informatore – affermò Paolo VI - non dovrebbe soverchiare il pensiero del suo lettore, del suo cliente, ma dovrebbe educarlo a pensare da sé”. E ancora: “voi siete degli osservatori, prima di essere degli informatori”.
I geroglifici
Montini ammise inoltre che la Chiesa e le Istituzioni Vaticane si presentano talvolta in modo misterioso e complesso. “Noi sappiamo di essere spesso per voi di difficile comprensione”, disse. E aggiunse: “temiamo perciò d’essere giudicati secondo una conoscenza superficiale, unilaterale e parziale della nostra realtà”. Da qui la richiesta di “un’acuta attenzione” da parte dei cronisti. “Noi - precisò - vogliamo essere letti nel senso profondo, come se si leggessero dei geroglifici di una piramide - chessò io - egiziana”. E affermando ‘chessò io’ abbandonò il plurale maiestatis, come ulteriore segnale di vicinanza ai giornalisti.
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