Migranti: liberi di partire ma anche liberi di restare
Marina Tomarro - Città del Vaticano
Liberi di partire, di poter cercare una vita migliore per donare una speranza ai propri figli e a sé stessi di un futuro differente, ma nello stesso tempo liberi anche di restare nella propria terra e avere la possibilità di costruire un mondo diverso aiutati da programmi che valorizzano le capacità di un popolo e dal condono del debito estero. Queste le tematiche trattate nel convegno “Liberi di partire, liberi di restare”, promosso dal Centro per la Cooperazione Missionaria tra le Chiese e l’Ufficio Migrantes della Diocesi di Roma. Nel mondo sono 286 milioni le persone immigrate dai loro Paesi.
Accoglienza, tutela e integrazione
"Liberi di partire e liberi di restare è un programma sui diritti delle persone, da una parte di voler trovare una vita migliore e dall’altra di essere accolti in una città aperta, capace di dare loro delle opportunità, per costruire percorsi di promozione e di tutela contro i trafficanti e gli sfruttatori, e per un economia più giusta a servizio dell’uomo e non il contrario”. Così mons. Giancarlo Perego, arcivescovo di Ferrara-Comacchio, durante il convegno che si è tenuto oggi al Vicariato di Roma. "La libertà di scelta - ha proseguito il presule - parte dalle quattro parole chiave contenute nel messaggio di Papa Francesco in occasione della Giornata Mondiale dei Migranti: accoglienza, promozione, tutela ed integrazione sono i doveri a cui ci ha richiamato il Pontefice. Uno concatena l’altro.”
Italia, ricongiungimenti difficili
Tra i temi affrontati, anche quello delle difficoltà burocratiche che in Italia rendono lunghissime le procedure per il ricongiungimento familiare. Anche per questo motivo, il "Bel Paese" non è una delle mete preferite da chi lascia il proprio. Non è raro, infatti, che una famiglia sia costretta ad aspettare fino a dieci anni prima di riunirsi, perciò molti scelgono altre destinazioni. “Spesso arrivano con un visto turistico, rimangono un periodo ma vanno via quasi subito - ha sottolineato l’arcivescovo - e questo comporta il conseguente invecchiamento delle nostre città. A Ferrara dove vivo, la popolazione sta avanzando con gli anni, in maniera impressionante, e una città dove ci sono più anziani che bambini va morendo. Accogliere i migranti e aiutarli ad integrarsi tra noi - ha concluso mons. Perego - vuol dire dare nuova linfa vitale alle nostre popolazioni”.
La vera sfida: conoscere
Come ha evidenziato padre Giulio Albanese, missionario comboniano, spesso la difficoltà di integrazione nasce dalla poca conoscenza che si ha dell’altro: “Io credo - ha spiegato - che l’informazione debba far capire quello che succede realmente nelle periferie del mondo. Penso ad esempio all’Africa sub sahariana dove ci sono conflitti violenti e le persone sono costrette a fuggire. Raccontare queste realtà è la prima forma di solidarietà verso le popolazioni migranti, perché oggi la vera sfida per battere la paura, la diffidenza o l’indifferenza verso l’altro è soprattutto sul piano culturale.” Anche la scuola diventa fonte primaria per capire meglio queste popolazioni, “Oggi - ha continuato padre Albanese - la geografia è un po' trascurata, ma insegnare ai ragazzi l’Africa con la sua storia e la sua grande varietà di culture potrebbe aiutare moltissimo il discorso sull’integrazione”.
Ero straniero e mi avete accolto
A concludere l’incontro, mons. Paolo Lojudice, vescovo del settore sud della diocesi di Roma, che ha invitato a lavorare insieme per l’accoglienza dei fratelli: “Le nostre parrocchie diventino presidi di accoglienza. Ricordiamoci di tenere sempre disponibili appartamentini o locali adiacenti le nostre chiese, perché se qualcuno ci bussa in cerca di un tetto, non dobbiamo mai rispondere: non c’è posto per te. È il Signore che ci chiede questo, non dimentichiamolo mai”.
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