Centrafrica: Natale tra guerra e pace
Amedeo Lomonaco – Città del Vaticano
Nella Repubblica Centraficana il Natale è un tempo di speranza che abbraccia un Paese scosso delle violenze. Un bambino su quattro è sfollato o rifugiato. Oltre 1 milione e cinquecento mila bambini hanno bisogno di assistenza umanitaria. La crisi è alimentata da continui combattimenti tra vari gruppi armati.
Un Paese povero, ma ricco di risorse
Le ragioni degli scontri sono soprattutto economiche. Ad essere contese sono infatti le zone per il pascolo del bestiame e le terre ricche di diamanti, oro e uranio. Vittime degli attacchi sono in particolare i civili. Ad essere colpiti sono in prevalenza strutture sanitarie, scuole, moschee e chiese.
Il massacro ad Alindao
Lo scorso 15 novembre ad Alindao, cittadina a circa 500 chilometri da Bangui, un campo di sfollati è stato preso d’assalto da un gruppo di ribelli islamisti. Sono morte più di ottanta persone. Tra le vittime, oltre a donne, bambini e persone anziane, anche due sacerdoti.
Spiragli di pace
La Repubblica Centrafricana non conosce solo il dramma delle violenze. Ci sono zone del Paese dove la sicurezza e lo sviluppo sono concreti segni di speranza. Sulla situazione nel Paese si sofferma don Mathieu Bondobo, parroco della cattedrale di Bangui. In alcune zone, sottolinea, è comunque germogliata la pace. Nei giorni scorsi, il Consiglio di sicurezza dell'Onu ha rinnovato per un anno il mandato di Minusca, la missione dei caschi blu nel Paese africano. (Ascolta l’intervista con don Mathieu Bondobo):
R. - Ora la situazione è confusa. Da una parte vediamo alcune zone dove c’è un po’ di tranquillità, ma ci sono zone dove veramente non c’è pace, non c’è fraternità: la gente ha ancora paura perché ci sono quelli che usano le armi per cercare di sfruttare le persone, di uccidere, di minacciare. Quindi in alcune zone c’è una situazione di paura, di angoscia ma in altre aree c’è un po’ di tranquillità, un po’ di pace.
In alcune zone del Paese purtroppo soffiano i venti della guerra. Quali sono i fattori che alimentano questo conflitto?
R. - I fattori, secondo me, sono principalmente economici. Questo è un Paese ricchissimo e quindi, a causa della sua ricchezza, ci sono persone che vogliono sfruttare a modo loro tutto questo.
Per arginare questo dramma bisognerebbe far parlare le persone di buona volontà e i costruttori di pace, non le armi …
R. - Noi siamo stanchi di questa guerra: se andiamo avanti così, non si va da nessuna parte. Ci sono persone di buona volontà e devono avere coraggio di portare sempre questa parola di pace, di seminare questa parola nel cuore delle persone. Sappiamo che la strada può essere lunga, ma bisogna continuare. Bisogna anche aver questa perseveranza che è anche una virtù cristiana: il bene va fatto, il bene va seminato, il bene va costruito. Dobbiamo pregare e chiedere a tutti coloro che usano le armi di deporle: basta con la violenza! Con la violenza si moltiplica la violenza, basta con le violenze: dietro questo dramma c’è il maligno che è capace di entrare nel cuore e di seminare violenze, odio, guerra e distruzione. Dobbiamo anche avere il coraggio di sederci, di guardarci negli occhi e di parlare della pace in modo vero. Secondo me, il dialogo è il punto di riferimento per arrivare a questa pace e gli uomini di buona volontà devono lavorare su questo. Tutti possiamo essere artigiani di pace. Questo è possibile.
Sono stati compiuti piccoli passi, comunque importanti, che vanno proprio verso la direzione della speranza, che è quella del Natale. Sono cominciati dopo la visita del Santo Padre nel 2015 nella Repubblica Centrafricana. Quella visita comunque, nonostante le violenze, ha aperto una strada di pace …
Il Papa è venuto ed ha aperto questa strada di pace. Questa strada l’abbiamo vista anche attraverso la Porta Santa della Misericordia, il segno forte che il Santo Padre ha voluto per la Repubblica Centrafricana. Dobbiamo, noi centrafricani, capire anche questo gesto del Santo Padre. Ci ha indicato la via, ci ha indicato la strada: dobbiamo prendere coraggio per seguire questa strada. Sappiamo che anche il Papa, da lontano, continua a pregare. Questo Paese è nel suo cuore. Lo ha detto tantissime volte.
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