Scrivevano i monaci di Tibhirine ...
Tiziana Campisi - Città del Vaticano
Sono testi semplici ma di una profonda intensità quelli che hanno lasciato i trappisti del monastero dell’Atlas. Testimoniano l’amore vissuto ad ogni costo, quello stesso che Gesù Cristo ha donato sulla croce.
Fratel Paul Favre-Miville
Di fronte alla violenza, domandandosi che cosa sarebbe rimasto della Chiesa d’Algeria, fratel Paul Favre-Miville scriveva in una lettera datata 11 gennaio 1995: “Tuttavia io credo che la Buona Novella è seminata, il grano germoglia … Lo Spirito è all’opera, lavora nella profondità del cuore degli uomini. Sappiamo essere disponibili perché possa agire in noi attraverso la preghiera e la presenza amorevole di tutti i nostri fratelli”.
Fratel Luc Dochier
Era medico e aveva 82 anni, più della metà vissuti in Algeria, Fratel Luc Dochier. “Che cosa può accaderci? – si legge in una sua missiva del 5 gennaio 1995 –. Di andare verso il Signore e di immergerci nella sua tenerezza”.
Padre Christophe Lebreton
Il più giovane, fra i trappisti di Tibhirine, p. Christophe Lebreton, si occupava della liturgia e dell’azienda agricola che il monastero aveva avviato con i musulmani del luogo. Ha lasciato testi di una forte densità poetica e di una grande profondità spirituale. Così riflette in una pagina del suo diario del 7 maggio 1995: “Si abita insieme una terra di speranza. La si lavora. Siamo gli abitanti della casa, ci si vive, ci si prega, ci si dimora fino all’ora di morire. Insieme abitiamo la tua mano. Da questa felicità aperta, chi ci può mandar via?”.
Fratel Michel Fleury
Cuoco e giardiniere della comunità, fratel Michel Fleury, era instancabile nel suo lavoro; uomo semplice e silenzioso, c’è la sua grafia in un foglio datato 30 maggio 1993 e ritrovato fra le pagine di un libro nella biblioteca di Tibhirine: “Spirito Santo Creatore, degnati di associarmi – il più rapidamente possibile; ma non la mia volontà, ma la tua … – al Mistero Pasquale di Gesù Cristo, nostro Signore, con i mezzi che Tu vorrai, e per quello che Tu vorrai”.
Padre Bruno Lemarchand
Superiore della comunità di Fez, in Marocco, p. Bruno Lemarchand, si trovava a Tibhirine per prendere parte all’elezione del nuovo priore programmata il 31 marzo. Questo il suo pensiero in una lettera del dicembre 1995: “Sono sempre felice della mia vita monastica e la vivo nella terra dell'islam. Tutto è semplificato. Qui è Nazareth con Gesù, Maria e Giuseppe”.
Padre Célestin Ringeard
Persona assai sensibile, p. Célestin Ringeard, responsabile dell’ufficio liturgico, curava molto i rapporti interpersonali; prima di farsi monaco trappista, a Nantes si era speso per gli emarginati e a Tibhirine era voluto restare nonostante i suoi problemi di salute e il suo cuore supportato da sei bypass. Queste alcune sue considerazioni in una lettera del 13 marzo 1994: “I legami umani sono qualcosa di unico se non di divino, e noi ci crediamo fin dalla venuta storica di Dio sulla terra, in Gesù di Nazareth! Inaudita, questa Fede che è la nostra e che pertanto deve misteriosamente restare ‘aperta’ nostri fratelli in umanità, i musulmani (terroristi o no), buddisti, non-credenti o atei convinti!”.
Padre Christian de Chergé
Priore della comunità di Tibhirine, p. Christian de Chergé ha dato al monastero quell’impronta spirituale che l’ha reso un luogo di accoglienza amichevole e fraterna. E d’altronde, nel villaggio a fianco, l’incontro con l’altro era quello della vita di tutti i giorni e il dialogo con i musulmani era il dialogo della quotidianità. Questo era il dialogo interculturale e interreligioso per i trappisti e per la gente. P. Christian lo coltivava in vari modi, tanto che nel 1979, insieme a p. Claude Rault, missionario d’Africa (poi vescovo di Laghouat-Ghardaïa), aveva dato vita al Ribat es Salam (vincolo di pace), un gruppo d’incontro di cristiani e musulmani che si riuniva due volte all’anno per condividere riflessioni, momenti di preghiera, questioni comuni. Consapevole di poter essere ucciso in qualunque momento, nel dicembre del ’93, p. Christian comincia a scrivere il suo testamento spirituale che firma l’1 gennaio del ‘94. In quelle righe è sintetizzata l’essenza della sua vita: “Se mi capitasse un giorno … di essere vittima del terrorismo … vorrei che la mia comunità, la mia Chiesa, la mia famiglia, si ricordassero che la mia vita era donata a Dio e a questo Paese … Che sapessero associare questa morte a tante altre ugualmente violente, lasciate nell’indifferenza dell’anonimato”. E ringraziando Dio per il dono della vita così concludeva rivolgendosi al suo aguzzino: “E anche a te, amico dell’ultimo minuto che non avrei saputo quel che facevi. Sì, anche per te voglio questo grazie, e questo AD-DIO profilatosi con te. E che ci sia dato di ritrovarci, ladroni beati, in Paradiso, se piace a Dio, Padre nostro, di tutti e due”.
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