India: nazionalismo religioso e timori per le minoranze in vista delle elezioni
Roberta Gisotti – Città del Vaticano
L’India sotto osservazione della comunità internazionale in vista delle prossime elezioni politiche, in programma tra aprile e maggio, che porteranno al rinnovo dei 543 membri del Parlamento nazionale, in un Paese che conta 29 Stati federati e 7 territori autonomi.
Le più grandi e complesse elezioni al mondo
Con 900 milioni di aventi diritto al voto, saranno le più grandi e complesse consultazioni del pianeta, basti dire che in India si parlano ufficialmente 23 lingue, cui si aggiungono circa 1600 dialetti ed idiomi, in un Paese continente, con sei partiti nazionali e una quarantina a livello regionale. Secondo tutti i sondaggi in testa alla competizione è la coalizione guidata dall’attuale primo ministro, il nazionalista Narendra Modi, in carica dal 2014, leader del Partito popolare indiano (Bjp), che vanta 100 milioni di iscritti, il maggior numero al mondo.
L’ascesa del nazionalismo religioso
In un clima di rilancio di politiche conservatrici, connotate dalla difesa dell’identità induista - in cui si riconosce l’80 per cento circa degli indiani - tra le preoccupazioni crescenti è l’ascesa del nazionalismo religioso. E tra le comunità più spaventate sono le minoranze cristiane, poco sopra il 2 per cento della popolazione, oggetto negli ultimi anni di crescenti attacchi e discriminazioni, tanto da essere salita al decimo posto nella lista dei Paesi più persecutori dei cristiani al mondo, secondo l’organizzazione internazionale Porte Aperte/Open Doors.
Non dimenticare i fratelli perseguitati
A rinnovare l’allarme è la fondazione Aiuto alla Chiesa che soffre (Acs), invitando i cristiani nel mondo libero a non dimenticare questi fratelli indiani perseguitati. Un appello è stato lanciato ieri per finanziare due progetti: la costruzione di una nuova chiesa intitolata a Nostra Signora di Lourdes a Vembarpatti, nello Stato di Tamil Nadu, dove 3 mila cattolici hanno una sola cappella, che può ospitare al massimo 50 persone; e la costruzione a Baraibi, nel nord est dell’India, di un convento per le Figlie della carità, che operano per l’educazione dei bambini, la cura dei malati e la promozione della donna.
Alessandro Monteduro, direttore di Aiuto alla Chiesa spiega quanto è importante sostenere, in questo momento, la minoranza cristiana in India, di fronte all’affermarsi di un nazionalismo religioso aggressivo.
R. – Il caso dell’India è particolarmente significativo perché sono stati numerosi gli atti di violenza ai danni dei cristiani e dobbiamo anche aggiungere ai danni dei musulmani. Sono stati in modo particolare atti mossi da motivazioni che includono l'odio religioso. Azioni di nazionalismo religioso per cui le minoranze sono tutte ritenute una minaccia per l’unità del Paese. Oggi in India c’è un movimento politico purtroppo molto strutturato, addirittura in grado di vincere le elezioni, parlo cioè del movimento induista e del partito “Bharatiya Janata Party” che può rappresentare una minaccia per le minoranze religiose del Paese.
Il ministro indiano dell’Interno Rajnath Singh, in un incontro ieri a New Delhi con un gruppo di cristiani ha espresso preoccupazione per le conversioni di massa, ribadendo che queste vanno contrastate e difendendo le leggi anti-conversione però allo stesso modo rassicurando che tutti sono liberi individualmente di seguire la propria religione. Cosa c’è dietro queste parole?
R. – Primo elemento. L’India non ha una religione ufficiale, quindi sulla base della Costituzione è un Paese che anzi proclama e rivendica la libertà di fede. Secondo elemento. In tema di conversioni e delle leggi ‘anti’ che si vorrebbero varare per impedire le conversioni, il dibattito è particolarmente controverso e non nasce ai nostri giorni ma risale addirittura a 40 anni orsono. La finalità di chi vorrebbe varare la legge anti-conversione per l’intero Stato federale è quella di proteggere la religione indù, che si vorrebbe coincidesse con lo Stato. C’è però un passaggio importante: nell’aprile del 2015 il ministro indiano della Giustizia ha già definito questo progetto legislativo a livello federale impossibile perché incostituzionale. Attualmente su 29 Stati indiani, 7 hanno in vigore questa legge anti-conversione.
C’è da aggiungere un altro elemento. Purtroppo, non soltanto i nazionalisti induisti vogliono - in modo anche fermo e forse feroce – impedire l’emorragia di loro correligionari ma hanno anche una tecnica, quella nota del “Ghar Wapsi”, una sorta di taglia posta sulla testa degli appartenenti alle minoranze, tanto musulmane quanto cristiane. In altri termini i partiti per primi sostengono dei gruppi o degli ‘operatori’ specializzati che portano alla conversione i cristiani e i musulmani, ricevendo una ricompensa. Per la conversione di un cristiano si viene di ricompensati con 200 mila rupie. Il tema delle conversioni e della legge anti-conversione sarà sempre più centrale nel dibattito non solo politico ma anche sociale dell’India, anche perché - non possiamo sottacerlo - dal 2015 è emerso in modo chiaro che gli induisti perdono aderenti e in modo particolare cresce la componente musulmana. Da qui il loro – mi permetta – terrore.
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