Aperta la Causa di beatificazione di p. Arrupe: uomo di Dio e della Chiesa
Adriana Masotti - Città del Vaticano
Con il rito presieduto alle ore 16 dal cardinale vicario Angelo De Donatis si è aperto oggi ufficialmente l’iter diocesano del processo di beatificazione e canonizzazione del Servo di Dio Pedro Arrupe Gondra, gesuita, superiore generale della Compagnia di Gesù per oltre trent’anni. Postulatore della Causa è padre Pascual Cebollada, anche lui gesuita. Alla sessione hanno partecipato il delegato episcopale monsignor Slawomir Oder; il promotore di giustizia monsignor Giuseppe D’Alonzo; il notaio attuario dottor Marcello Terramani; il notaio aggiunto signor Francesco Allegrini.
Il cardinale De Donatis: oggi un atto che rende gloria a Dio
Nella Basilica di San Giovanni in Laterano, il cardinale De Donatis ripercorre la biografia di padre Arrupe, le tappe fondamentali alla base delle scelte della maturità, mette in luce la spiritualità e il coerente atteggiamento verso gli altri che caratterizzò la sua vita. Padre Arrupe, afferma il porporato, “è stato aperto alla volontà del Padre, volontà che ha voluto adempiere in tutto, grazie al suo voto di perfezione. E’ rimasto radicato in Cristo, che ha amato appassionatamente e, con coraggiosa fiducia, si è lasciato guidare nel suo percorso dalla saggezza e dalla libertà che vengono dallo Spirito Santo”.
Diventare uomini e donne per gli altri
Eletto Superiore Generale dei gesuiti, prosegue il card. De Donatis, ha vissuto il discernimento personale e comunitario applicandolo al suo stile di governo dell’Ordine. Vero uomo di Dio, era anche ricco di qualità umane, nel trattare, ascoltare e aiutare ciascuno. “Quello che lui per primo ha vissuto, e che ha inculcato particolarmente ai suoi studenti – dice ancora il cardinale - vale per tutti: diventare “uomini e donne per gli altri”. E’ andato incontro agli “affamati di pane e di Vangelo”. E “grazie alla sua particolare sensibilità per le situazioni sociali drammatiche e per i poveri, ha sempre incoraggiato tutti a stabilire un contatto personale e continuo con loro”, favorendo le attività pastorali ed educative a loro beneficio.
P. Kolvenbach lo definiva un “profeta del rinnovamento conciliare”.
Il padre Arrupe è stato anche un vero “uomo di Chiesa”, la Chiesa che viveva le conclusioni del Concilio Ecumenico Vaticano II. “In questo periodo, spesso agitato - afferma De Donatis - ha dimostrato in ogni momento la sua profonda appartenenza alla Chiesa e il suo fervido, umile e fermo desiderio di obbedire alla Santa Sede”, cercando di integrare la tradizione migliore con gli orientamenti conciliari. Ebbe a cuore i sacerdoti e accompagnò molti nel loro ministero, come pure incoraggiò i laici a prendere le loro responsabilità all’interno della vita ecclesiale. Creò spazi di dialogo con i non credenti, favorì quello ecumenico e interreligioso, e promosse iniziative volte alla riconciliazione fra i popoli. Il cardinale De Donatis cita ancora l’impegno per l’inculturazione della fede e l’impulso dato a quello che sarà il ‘Servizio dei Gesuiti per i Rifugiati’, un’iniziativa che fino ad oggi, “si è rivelata l’opera a favore della giustizia - personale e strutturale - con maggiori conseguenze a carattere universale”.
La fama di santità già in vita
La sua fama di santità continua a diffondersi sempre più dopo la sua morte, afferma il porporato, il Servo di Dio ha una moltitudine di devoti non solo a Roma, molti “si alimentano spiritualmente dei suoi scritti (…) molti si affidano alla sua intercessione”. Diverse centinaia di comunità, opere apostoliche e programmi in tutto il mondo portano il suo nome. Per il cardinale De Donatis è la testimonianza del “riconoscimento delle notevoli virtù di questo cristiano straordinario” che, conclude, ci auspichiamo possa divenire al termine dell’iter canonico, “un modello di santità, approvato dalla Chiesa, per tutti i fedeli cristiani”.
Cenni biografici del padre Arrupe
Pedro Arrupe nasce nei Paesi Baschi, a Bilbao, il 14 novembre 1907. Dopo gli studi decide di diventare gesuita. Missionario in Giappone, il 6 agosto 1945 vive un’esperienza che sarà fondamentale per il resto della sua vita: il lancio cioè della bomba atomica ad Hiroshima. Per aiutare la popolazione trasforma il noviziato in un ospedale da campo e si dà da fare per aiutare i feriti. Più tardi, come superiore generale della Compagnia di Gesù, accompagna il suo Ordine nel cammino di rinnovamento post conciliare ponendo al centro l’attenzione agli ultimi e in modo particolare i rifugiati. Nell’estate del 1981 un infarto lo costringe a lasciare l’incarico. Dopo anni di immobilità e la perdita della parola, muore a Roma il 5 febbraio del 1991. Il 14 novembre 1997 i suoi resti mortali vengono traslati nella chiesa del Gesù, a Roma.
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