"Terra bruciata": la Chiesa in America latina dice no al 'land grabbing'
Roberta Gisotti – Città del Vaticano
Il land grabbing è una nuova forma di colonialismo, documenta nero su bianco il rapporto della Caritas italiana “Terra bruciata”. Il fenomeno dell’accaparramento delle terre vede protagonisti governi stranieri, fondi d’investimento e grandi aziende multinazionali, che operano al fuori o al di sopra delle leggi nazionali, qualora vi siano, con la connivenza di poteri governativi e nell’incertezza del diritto internazionale, a tutto danno delle popolazioni locali più povere e indifese sul piano giuridico.
Cresce questa forma di colonialismo in Africa, Asia ed America Latina
Questa pratica, scorretta e sconsiderata, è in grande crescita negli ultimi 10 anni, soprattutto in alcune regioni dell’Africa, dell’America latina e dell’Asia. Secondo stime internazionali sarebbero 2,5 miliardi le persone penalizzate dagli accaparramenti terrieri, che hanno diverse motivazioni, come spiega Paolo Beccegato, vicedirettore e responsabile dell’area internazionale della Caritas italiana.
R. – In realtà, dentro questa dicitura ‘land grabbing’ ci sono almeno quattro categorie che vanno distinte. La prima, è l’acquisizione di vasti appezzamenti di terreno da parte dell’agro-business; la seconda è l’acquisizione di risorse fondiarie destinate alle coltivazioni per la produzione di agro-combustibili, che è cresciuta moltissimo; la terza, è l’acquisizione di terre per la produzione di cibo per far fronte alle necessità di Paesi dove c’è una difficoltà nell’approvvigionamento alimentare e quindi ci si rivolge all’estero e si accaparrano queste terre per poi destinare le produzioni di cibo ai propri cittadini o di altre nazioni; la quarta è l’uso delle risorse fondiarie come investimento speculativo ad opera di grandi investitori internazionali.
Anche se i dati sono molto incerti e le fonti molto diverse, noi possiamo dire che in quest’ultimo decennio, soprattutto dopo la crisi del 2007/2008 c’è stato un aumento spropositato, quasi dieci volte tanto, di accaparramento di terre, in queste quattro forme, con modalità diverse, però di fatto sempre a danno, a discapito delle popolazioni locali, perché i governi di queste nazioni hanno concesso questi accaparramenti non tutelando le proprie popolazioni.
La denuncia di questa pratica scorretta e sconsiderata e in grande crescita è arrivata già in sede di Nazioni Unite, senza però avere adeguate risposte dalla comunità internazionale.
R.- Quello che è particolarmente debole è il diritto internazionale, cioè quando vi sono delle vertenze, delle azioni giudiziarie nei tribunali locali, sostanzialmente c’è un’azione che dura tantissimo nel tempo e alla fine soprattutto le multinazionali con i loro uffici legali sono così potenti che di fatto praticamente non perdono mai. Quindi c’è un diritto locale ma anche internazionale che non tutela le comunità. E le popolazioni locali che non sono capaci di far valere i propri diritti alla fine ne risultano le più danneggiate.
Il dossier presenta un focus, in particolare, sull’America Latina con delle proposte concrete attraverso la Rete ecclesiale.
R. – C’è un’azione molto forte, coordinata, di tutti i Paesi dell’America Latina che hanno costituito la Rete ecclesiale pan-amazzonica, che mira a tutelare le popolazioni locali - coloro che sono in qualche modo le vittime, i più indifesi - sia producendo degli studi, delle ricerche sia denunciando queste situazioni e favorendo una mobilitazione, una sensibilizzazione di tutte le comunità cristiane e non solo. Quindi una rete ecclesiale molto attiva, che realizza anche progetti concreti per queste popolazioni – noi ne citiamo alcuni nel dossier – anche dei micro-progetti, che sempre cercano di tutelare i più deboli.
Il messaggio più forte che si vuole lanciare, al di là della denuncia pubblica, è rivolto proprio alla comunità internazionale e ai governi, perché creino delle norme che maggiormente tutelino le popolazioni locali, in modo tale che vi sia un disincentivo al land grabbing per questi soggetti che arrivano da tutto il mondo – anche locali, in alcuni casi – ad investire in questo modo, di fatto sottraendo la terra alle popolazioni autoctone.
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