La casa: il sacro di ogni giorno. Intervista all'architetto Calatrava
Laura De Luca – Città del Vaticano
Abbiamo intervistato l’architetto spagnolo Santiago Calatrava, autore di opere importanti in ogni angolo del globo, dall’originaria Valencia a Lione, da Orvieto a Buenos Aires, da Venezia egli Stati Uniti, da Liegi a Zurigo, dove ha studiato… Ha progettato ponti, biblioteche, stazioni, auditorium, ma pochi spazi sacri. E tuttavia ha una visione intimamente sacra dello spazio…
Architetto lei si è definito simile ai suoi edifici, ovvero tendenzialmente muto. E’ vero?
R. - Beh, il mio linguaggio è piuttosto il disegno che il verbo…
Ma gli edifici sono eloquenti a modo loro. Devono parlare, accogliere, soprattutto là dove sono costruiti per contenere silenzi, come ad esempio le chiese e i templi. Lei però non ha costruito tantissimi edifici sacri… Qual è la difficoltà di costruire uno spazio destinato a contenere il silenzio (o, secondo l’espressione del cardinale Ravasi “un luogo destinato a contenere il non-luogo”)?
R. - In realtà l’idea di costruire un posto sacro è per qualsiasi architetto una grande sfida perché il sacro esiste soprattutto nella nostra mente, in noi stessi, dunque creare un ambito in cui una persona si può raccogliere o può pregare o meditare è effettivamente una grande sfida. Allo stesso tempo questa idea del sacro è una bellissima idea, quasi sublime, per cui alla ricerca del sacro si può non abbinare solo il tempio in se stesso, si può pensare anche al nostro quotidiano, al calore simbolico degli edifici e a quel senso di accoglienza che possono avere, un’accoglienza che sia prossima a quel senso di sublime che possiamo ritrovare nei grandi templi….
Attraverso queste indicazioni tecniche lei ci sta dando una piccola lezione di teologia. Come dice Francesco, Dio è accanto a noi, ci accompagna nella quotidianità. A proposito degli edifici sacri io vorrei soffermarmi però sulla piccola chiesa greco-ortodossa di san Nicola che lei ha progettato per Ground Zero…
R. - Io non ho mai costruito un tempio, una chiesa, pur se ho cercato di farlo: ne ho progettati, e sono stato coinvolto in questo concorso e l’ho anche vinto. E’una cosa commovente; da una parte io non avrei mai pensato di essere scelto, e ne sono felice per il soggetto, il luogo, e la simpatia che ho per la Grecia (dove lavorai prima del 2004, per i giochi olimpici), per la cultura greco-ortodossa… Penso ad esempio a Santa Sofia o ad altri posti che ho potuto ammirare… La questione è che quando questa piccola chiesa risalente a più di cento anni fa fu sepolta dalle macerie dell’11 settembre, fu emozionante per me già solo l’esperienza di fare il concorso, presentando schizzi, modelli…
Il corpo di Maria, la casa di Dio
Mi sembra allora che oltre che un progetto architettonico questo sia quasi un atto di pietà. E’ struggente seguire nei suoi bozzetti l’evoluzione dell’idea. Si parte da un delizioso acquerello, un’immagine bizantineggiante della madre di Dio… Le forme curve della immagine mariana evolvono nelle cupole… (C’è una sovrapposizione fra la figura della Vergine e il profilo architettonico).
R. - Come dicevo, spesso un progetto è anche un confronto con una iconografia, con un modo di capire anche il linguaggio del sacro. In questo caso io mi sono riferito a un mosaico a Santa Sofia, a Costantinopoli, in cui la santa madre di Dio è affiancata da Costantino e Giustiniano. E Giustiniano presenta il modello della stesa chiesa di Santa Sofia. Di qui mi venne questa idea: c’è qualcosa in comune, nel modello che lui porta in mano, con l’immagine della Vergine e dallo studio emerge proprio questa idea: la chiesa contiene Cristo e anche Maria incinta ha avuto effettivamente, fisicamente Cristo dentro di sé…
Come se l’edificio della chiesa fosse la controfigura della Vergine?
R. - In realtà queste sono delle “avventure”: io non sono teologo, io sono solo “amatore” dell’architettura. In realtà capisco che il pensiero è molto ardito, ma anche molto fecondo perché effettivamente si vede che c’è un passaggio logico tra i l’immagine della Vergine e quella del tempio.
Be il pensiero grafico in qualche cosa può essere anche un pensiero teologico, quasi una preghiera che si trasforma in progetto architettonico. Ed è bello pensare che dall’osservazione di una chiesa da parte di un architetto, ne scaturisca un'altra, quasi figliata dalla prima, lontanissime nel tempo e nello spazio. Comunque nei suoi bozzetti per san Nicola a Ground Zero si ritrova anche lo studio della natura, il fogliame che diventa scanalatura di una cupola… Un tratto del resto comune in molte sue opere…
R. - In realtà penso che bisogna sempre conservare un senso di ammirazione e sorpresa davanti all’opera della natura e si può imparare continuamente non solo dalla bellezza di un paesaggio, ma anche dagli elementi più modesti e riuscire a cogliere anche l’enorme complessità con cui la natura risolve problemi, sempre sublimandoli con la bellezza. Le cose sono come sono, ma noi le percepiamo belle. La metamorfosi di un fiore che si apre… Sono cose belle da studiare e da cui ricavare una lezione …
Con che cosa giocava da bambino?
R. - Con tante cose! Credo di essere stato un bambino normale. Ma ne combinavo di tutti i colori!
E con i suoi figli, con che cosa ha giocato?
R. - Dico sempre ai miei figli: avete avuto una bella infanzia, ma la mia è stata bella perché ero circondato da tante persone care. Lei sa come sono le famiglie nel posto di origine, specie se la famiglia è radicata e non ci sono solo il padre e la madre ma tanti parenti … Invece noi siamo stati un po’ nomadi. Parigi, New York… Credo che loro infanzia sia stata bella, ma ci siamo rapportati un po’ troppo solo a noi stessi. Ciò che peraltro ha rinforzato i vincoli tra di noi …
Molti suoi bozzetti, belli in sé, presentano allusioni alle figure umane, a corpi michelangioleschi in movimento, tutti alla ricerca di una staticità o meglio di un equilibrio, di un’armonia. E’ vero che nella progettazione architettonica c’è anche una ricerca di somiglianza con il corpo umano, come a voler riportare la bellezza del copro umano nella bellezza delle strutture?
R. - Come persone, noi siamo dentro un corpo e l’architettura è una delle cose più intimamente legate a noi stessi: dopo i nostri abiti c’è tutto quello che ci circonda. Come i nostri abiti seguono le forme dei nostri corpi, così le forme che abitiamo. D’altra parte devo dire che una delle cose più commoventi è vedere in Vaticano la enorme densità di architettura e umanesimo. Lo si vede, per uno che ha gli occhi aperti, in ogni angolo, dettaglio, nel colonnato, in tutte le opere che la chiesa, come il più grande mecenate della storia dell’arte, ha accolto e curato nei secoli. Nel fondo, io ho preso una grande lezione di umiltà. E mi sono rivolto ai più grandi maestri non con il desiderio di copiarli, ma per emulare il loro spirito, un senso superiore dell’esistenza dell’uomo.
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