La Chiesa ucraina: modello di testimonianza della verità
Laura De Luca – Città del Vaticano
“Forse sembrerà difficile da credere, ma oggi ci sono più martiri che nei primi secoli”, ha detto Papa Francesco nella sua intenzione di preghiera per il mese di marzo, intitolata “Riconoscimento dei diritti delle comunità cristiane”. Sono tanti quelli che danno la vita per il Vangelo e non se ne parla mai abbastanza. Il recente attentato nella chiesa di Jolo, Filippine, la incerta sorte di padre Dall’Oglio, solo per fare alcuni esempi… Vicenda esemplare del martirio dei nostri tempi è certamente quella della chiesa ucraina, un osservatorio privilegiato anche per capire il nostro rapporto con Dio. Se ne parla nel libro edito da Cantagalli, Dimmi la verità, in cui don Paolo Asolan, rettore della chiesa di santa Maria in cappella in Trastevere, docente di teologia pastorale fondamentale alla Pontificia Università Lateranense e incaricato del servizio per la formazione permanente del clero, conversa con il primate della chiesa greco-cattolica ucraina Svjatoslav Shevčuk. Don Paolo Asolan risponde ad alcune nostre domande.
Dunque è vero che la testimonianza nel martirio rafforza la fede?
R. - Sì tra l’altro l’Ucraina partecipa di due martirii, quello ideologico contro i cristiani, effetto dello stalinismo e lo sterminio per fame inflitto al Paese al tempo della collettivizzazione forzata delle terre, quando tutto il territorio fertile fu circondato militarmente, furono impediti i rifornimenti e la gente fu lasciata morire di fame. Morirono tra sei e otto, forse dieci milioni di persone…
Una persecuzione sociale, politica, ideologica e anche di fede?
R. - Interno alla persecuzione di fede c’è il caso specifico e singolare della chiesa greco-cattolica ucraina la quale non fu perseguitata tanto per la sua fede in Gesù Cristo, quanto per sua comunione con Roma. La testimonianza di questi martiri risiede nel fatto che la comunione con il vescovo di Roma fa parte del deposito di fede. Mentre noi sottovalutiamo questo dato, in Oriente è stata una ragione sufficiente per morire.
Al di al di questioni specifiche (ideologia, vita sociale, religione) in questo libro-conversazione fra un sacerdote professore di teologia e un capo della Chiesa greco cattolica ucraina, ciò che emerge è appunto la vicenda ucraina come un esempio di quello che la fede dovrebbe e potrebbe essere anche nell’altra metà dell’Europa (voi espressamente richiamate la famosa espressione dei due polmoni). Che cosa ci insegna in questo senso la storia dell’Ucraina?
R. - Penso che un aspetto sia legato alla trasmissione della verità: la storia dell’Ucraina è la storia di un popolo evangelizzato dall’Oriente, che però da subito ha inteso questa evangelizzazione anche come apertura continentale all’Europa, concependo la fede come fattore di unità. Il passaggio dal paganesimo al monoteismo cristiano è stato anche l’effetto della scoperta di ciò che rende “uno” i diversi. E a me sembra che in questo momento (si cerca l’unificazione politica, ma vi sono correnti di disgregazione in Europa), sia molto interessante considerare il fattore religioso come un fattore unificante, di comunione, di apertura e di sviluppo. Faccio poi il caso del cardinale Slipyj, uno dei grandi predecessori dell’arcivescovo maggiore Svjatoslav Shevčuk, che fu deportato in Siberia. Celebrava l'eucarestia nascondendo il vino sulle lenti degli occhiali. La forza tranquilla della sua fede, che perdonava i persecutori, si esprimeva anche con una continua ricerca della verità, nell’indottrinamento che veniva fatto nei campi. Chi era nei campi di lavoro doveva anche partecipare alle lezioni di indottrinamento. All’apogeo di quel periodo ci fu la crisi di Cuba, il culmine dell’imperialismo sovietico… Quando tutto parlava dell’espansione di quell’ideologia, lui disse: “Questa ideologia morirà perché non dice la verità”. E anche questo lavoro di inculturazione della fede secondo la forma greco-cattolica nelle università e nelle scuole che lui stesso aveva fondato per il mondo, riportava a questa testimonianza: attraverso la cultura e l’istruzione poteva avvenire un’evangelizzazione. E questo avrebbe preparato quella classe media uccisa e fatta sparire dalla rivoluzione, che però avrebbe poi prodotto anche la rinascita della madre patria.
L’esperienza del martirio in varie sfumature di intensità ha dunque rinvigorito la fede del popolo ucraino. Nelle sue domande, don Paolo, c’è una implicita accusa verso l’occidente che al contrario sembra “dormire”…
R. - L’occidente si è ‘impagliato’. La Chiesa ucraina si è sempre posta in dialogo con la società. Questo essere liberi dal dover assecondare il potere politico, le ha dato la possibilità di essere realmente un fermento dentro le famiglie e le scuole e questa, se vogliamo è un’altra via di martirio o di testimonianza della verità. E a partire da questo inserimento molto concreto della vita quotidiana e ordinaria che avviene l’incontro grazie al quale l’essere umano non percepisce Dio estraneo o nemico ma persona.
Per cosa dice grazie all’arcivescovo maggiore a seguito di questa conversazione?
R. - … per i respiri che facevo mentre lo ascoltavo. A volte le discussioni, i confronti appesantiscono e problematizzano sempre più i problemi… Invece avevo la sensazione di nodi che si scioglievano in questa apparente semplicità del Vangelo … Come se dentro una stanza rimasta chiusa per tanto tempo qualcuno aprisse la finestra.
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