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L’Aquila. Messaggio dell’arcivescovo Petrocchi per il decennale del sisma

Il cardinale Petrocchi riconosce che le lacrime versate hanno prodotto nuovi frutti e opportunità e chiede di velocizzare la ricostruzione materiale e comunitaria della città. "serve coesione per trasformare la sciagura in progresso"

Marco Guerra – Città del Vaticano

“Per la decima volta, quest’anno, sentiremo i rintocchi della campana che ricordano i 309 martiri del terremoto”. Apre così l’arcivescovo de L’Aquila, cardinale Giuseppe Petrocchi, il suo messaggio per il decino anniversario del terremoto che il 6 aprile del 2009 ha devastato il capoluogo dell’Abruzzo.

Fioritura di solidarietà

Nel testo, dal titolo “Memori del passato, per essere costruttori di speranza”, il porporato volge quindi lo sguardo sulla “graduale risurrezione, più forte della furia devastante del sisma”. “Le lacrime versate – osserva - si sono rivelate feconde, ed hanno generato una abbondante fioritura di fraternità e solidarietà”. L’arcivescovo dell’Aquila parla di terremoti e ricostruzione al plurale, riferendosi in questo modo sia alle ripercussioni materiali sia a quelle spirituali e umane della tragedia.

Le macerie materiale e spirituali

“Quando sono venuto a contatto con gli effetti demolitivi delle scosse – si legge nel Messaggio -, mi sono accorto che, accanto alle macerie visibili materiali, c’erano pure quelle “invisibili” spirituali; allora ho cominciato a parlare di terremoto dell’anima, che costituisce l’altra faccia quella meno esplorata della storia del sisma”. “E queste faglie interiori – prosegue -, che caratterizzano il terremoto dentro, sono più dannose e durano più a lungo delle onde sismiche che determinano il terremoto fuori”.

Per questo motivo, secondo il cardinale Petrocchi è necessario raggiungere il dolore nascosto. Ricorda quindi i luoghi della città dove il terremoto ancora “si vede” e “si respira”, come il Duomo e la chiesa di S. Maria Paganica, ma anche i tanti che “hanno una comprensibile ritrosia a raccontare ciò che portano negli angoli più remoti dell’anima”. Traumi che – evidenzia ancora l’arcivescovo - non si superano con il semplice spostamento geografico, perché anche se cambia città, il terremoto “lo trascina con sé”.

La ricostruzione e la tenacia degli aquilani

L’arcivescovo de L’Aquila affronta poi la questione delle “ricostruzioni” citando i molteplici “riscatti” architettonici che sono stati realizzati nel corso dei secoli: “Se si scorrono gli annali della storia aquilana, si resta impressionati nell’apprendere che - nell’arco di otto secoli - si sono succeduti più di sette terremoti, di cui quattro disastrosi”. Il porporato riconosce quindi agli aquilani di essere “gente tenace e motivata che, grazie alla radicata fede cristiana e a solidi valori umani, ha maturato un’ammirevole “resilienza”, che l’ha “equipaggiata” per affrontare e vincere gli attacchi minacciosi del terremoto, senza mai indietreggiare”. “In essi - aggiunge - ha prevalso l’attaccamento alla loro terra, la fedeltà alle tradizioni e la irremovibile convinzione di potercela fare”. Per queste ragioni “la bandiera di L’Aquila non è stata mai ammainata dalle sue mura ed ha continuato a sventolare con fierezza davanti agli occhi del mondo”.

Velocizzare le procedure

Il cardinale affronta anche il tema delle ricostruzione mancata e riferisce che “si ha l’impressione che in diversi borghi e in frazioni periferiche si stia ancora all’anno zero”. Una situazione che lo porta ad auspicare “una semplificazione delle procedure e una velocizzazione delle operazioni attuative, perché, sulle corte distanze, vengano riaperte case, strutture pubbliche e chiese (che non sono solo sedi di culto, ma luoghi identitari) ancora inagibili”.

La ricostruzione delle comunità

Tuttavia la ricostruzione più “importante” – sostiene il porporato – è quella dei “cittadini e della comunità: sociale ed ecclesiale”, che deve marciare parallela a quella “edilizia”. “È urgente perciò – scrive ancora il cardinale - mettere in atto sistemi ed esperienze di accompagnamento che aiutino le persone a dialogare con le tensioni che covano dentro, per imparare ad integrarle positivamente nella propria esistenza”. L’arcivescovo chiede pertanto quella che definisce una “convergenza solidale” tra tutti i soggetti “abilitati” a questo tipo di lavoro (la Chiesa, le Istituzioni pubbliche, la Scuola e l’Università, gli Organismi che hanno fini educativi ed assistenziali, il Mondo della Sanità e dei Media…) affinché trovino “forme di raccordo e di intesa”.

Le nuove opportunità

In questo scenario l’arcivescovo intravede anche delle “nuove opportunità” dovute ai “rimescolamenti sociali provocati dai trasferimenti” e nota che anche dal punto di vista “economico e produttivo”, come pure nelle “logiche imprenditoriali e professionali”, si sono spalancate promettenti vie di sviluppo. Spinte propulsive - in una città che riacquista e migliora il suo splendore – che “dovrebbero registrarsi in campo turistico, culturale e artistico”. Il cardinale vede quindi per L’Aquila la missione di offrirsi come luogo di incontro (a livello nazionale e internazionale), come Città-laboratorio e come Sede di studi che si specializzano sul tema dell'emergenza, del soccorso e della ricostruzione.

L’omaggio a chi si spese nei soccorsi

In questo percorso di rinascita, l’arcivescovo Petrocchi invoca anche il recupero della continuità storica spezzata dal terremoto: “Non si può parlare del futuro di un popolo se si non si conosce il suo passato”. In conclusione il porporato ricorda la visita di Papa Benedetto XVI (il 28 aprile 2009) e tutti coloro che si sono fatti “prossimi”, nei giorni del terremoto e nel periodo successivo, spendendosi con generosità e scrivendo indimenticabili pagine di ordinario eroismo. Infine l’arcivescovo Petrocchi esorta a tramutare il dolore chiuso nell’anima “in voce gioiosa, che testimonia, al mondo intero, una Vita abitata dall’Amore-Risorto e annuncia un’Alba di speranza”

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02 aprile 2019, 13:09