La Passione, Morte e Resurrezione secondo Giotto
Paolo Ondarza - Città del Vaticano
Una narrazione semplice, che cela significati profondi. Un racconto concretamente umano, dal quale emerge con forza lirica l’elemento trascendente al cui cospetto non resta che inginocchiarsi. Il Vangelo del Triduo Pasquale è raccontato così, in modo unico negli affreschi della Cappella degli Scrovegni a Padova, la “Divina Commedia” di Giotto. Quelle che vanno dall’Ultima Cena alla Resurrezione, culminando nella gloria dell’Ascensione e della Pentecoste, costituiscono il più basso dei tre registri orizzontali - formato ciascuno da 12 scene - nei quali si articola il ciclo pittorico istoriato fra il 1303 e il 1305 dal grande Maestro toscano su commissione del banchiere padovano Enrico Scrovegni. Colpiscono le “terzine”, ovvero le corrispondenze simboliche con le scene dei due ordini superiori dedicate rispettivamente alle storie di Gioacchino, Anna e della Vergine Maria e quelle dell’infanzia e vita pubblica di Gesù.
Entrare dentro Giotto
Di fronte a Giotto non si resta semplici spettatori, ma si partecipa: “dipinge in 3D, – spiega lo storico dell’arte Roberto Filippetti, autore del libro “Giotto. La Cappella degli Scrovegni”, edito da Itaca –inventa settecento anni fa la prospettiva intuitiva, così da educarci ad entrare nel quadro, ad immedesimarci in quanto narrato attraverso la mimica facciale e la profondità dei sentimenti dei personaggi: il fatto accaduto riaccade oggi. La pittura è memoriale, non memoria nostalgica”.
La Domenica delle Palme
Nell’ingresso a Gerusalemme ad esempio, penultima scena del secondo registro, si ha la sensazione di far parte della folla, tra i bambini arrampicati sugli alberi a staccare rami di ulivo e quelli che stendono i mantelli al passaggio del Messia che incede a cavallo di un asinello del Monte Amiata, dalla caratteristica criniera a forma di croce. Al prof. Filippetti, abituato a svelare i segreti più reconditi di Giotto anche ai bambini, chiediamo di accompagnarci nella lettura della Settimana Santa evocata dal pennello del pittore trecentesco.
Il Giovedì Santo
“Si parte dal grande arco della Cappella con la scena del tradimento di Giuda che tentato da un cupo demonio alle sue spalle, vende Gesù per trenta denari, raccolti in una bisaccia. Il Triduo prosegue poi nel terzo registro con i due quadri dedicati all’ultima cena: l’istituzione dell’eucarestia e la lavanda dei piedi. Cristo è inginocchiato di fronte a Pietro vestito di un manto d’oro, ad affermare la grande dignità del compito affidatogli”. Sul muro, alle spalle degli Apostoli Giotto dipinge una croce fiorita, “prefigurazione della morte di Gesù”. La rappresentazione del peccato originale e l’amore di Dio per ogni persona, al di là dei limiti umani, è affidata dal pittore al “gesto simbolico” compiuto da Giuda Taddeo, che – prosegue Filippetti – infila l’indice della mano tra le dita del piede per pulirlo e prepararlo alla lavanda in modo più dignitoso”.
Il Venerdì Santo
Al Venerdì Santo il Maestro toscano dedica sei scene: la più animata è quella “en plen air” del bacio di Giuda nell’orto degli Ulivi: attorno ai due protagonisti si agita un tumulto; sullo sfondo azzurro del cielo si incrociano bastoni, lance e fiaccole. Spicca la figura di Pietro che con un gesto repentino taglia l’orecchio a Malco. La narrazione prosegue con Gesù nel Sinedrio davanti a Caifa che si strappa la veste verde. “Incorniciato dal soldato con mantello rosso che schiaffeggia il Cristo, il più anziano degli apostoli è senza aureola, ha rinnegato tre volte il Messia”. Percosso, oltraggiato con sputi e improperi da “dodici loschi figuri” il Cristo deriso è vestito regalmente e coronato di spine nella scena successiva. “Le finestre sono aperte su un cielo nero – fa notare Filippetti - eppure, premonizione della vittoria della resurrezione, con strepitoso anacronismo, sopra il pretorio si staglia un cielo azzurro”. Giotto passa dunque a dipingere la Via Dolorosa: “la Vergine Maria è sconvolta dal pianto” nell’assistere impassibile alla salita di Gesù al Calvario, sotto il peso della grande croce, “strattonato e spintonato” dai suoi aguzzini.
La potenza espressionistica del dolore nella Crocefissione
Segue “l’immagine struggente della Crocefissione”: “dal cuore squarciato di Cristo sgorgano sangue rosso ed acqua dorata, raccolte nel Santo Graal, prefigurazione dell’Eucarestia”. Le gocce rosse colano lungo la croce, asciugate dalla Maddalena e raggiungono il teschio di Adamo, ai piedi del legno. “E’ un altro dettaglio straordinario: il cranio, che dà nome al Calvario, sta rinascendo, ha i globi oculari”. Giovanni invece sorregge la Vergine, quasi svenuta, mentre dal lato opposto i malvagi litigano sulla sorte della tunica. Nel gruppo spicca una figura aureolata: è il centurione che, riconoscendo il Figlio di Dio, si è guadagnato la vita eterna. In cielo dieci angeli piangenti in volo: “mai prima – commenta Roberto Filippetti – il dolore è stato rappresentato con tanta virulenza e potenza espressionistica”.
Il Sabato Santo. Silenzio che urla
I volti, celesti e terreni, straziati e sfigurati per il vuoto provocato dalla morte di Cristo caratterizzano il Compianto. E’ il Sabato Santo, giorno del silenzio: “un silenzio che urla, un dolore che implode. La Madonna abbraccia il Figlio. Le due aureole formano un cuore. La posa della Vergine è identica a quella raffigurata da Giotto nella Natività di Gesù: prima fasciato e deposto in una mangiatoia, ora sarà avvolto in una sindone e deposto in un sepolcro in marmo rosa di Verona”.
La Domenica di Resurrezione
Le prime luci dell’alba della Resurrezione caratterizzano il Noli me tangere: “siamo in un giardino. Il Risorto vestito di bianco ha appena chiamato per nome la Maddalena. Lei lo riconosce e risponde “Rabbunì, maestro!”. “Dolcissimo lo sguardo, intensa la tensione delle braccia della donna protese verso Gesù, che con la mano ferma quell’impeto: non mi trattenere!”. “Fra i due – prosegue Flippetti – il pittore dipinge un erbario simbolico: alloro, rosmarino, prezzemolo, timo, maggiorana, erbe aromatiche e fitoterapiche parlano del profumo della santità e della salus” eterna.
Il teologo di Giotto
Ma chi è il regista di un programma iconografico tanto complesso? Secondo Roberto Filippetti si tratta di Altegrado de’Cattanei da Lendinara, protonotaro pontificio nell’anno del Giubileo del 1300 e futuro vescovo di Vicenza: emerge “non l’idea moderna di arte come libera espressione del sentimento individuale, ma quella medievale di cantiere, collaborazione, dove il teologo e il pittore hanno rispettivamente il pensiero e la mano di Dio”.
Arte cristiana come servizio, Bibbia dei poveri
L’arte secondo tale concezione è intesa come diaconia, servizio, ministero: essa è “Bibbia dei poveri”, perché “la povera gente non sa leggere o scrivere, ma solo guardare”. Ecco perché Giotto continua a toccare le corde più intime dei nostri sentimenti: “il cuore dell’uomo – conclude Filippetti – non cambia nei secoli, è assetato di Dio. Per dirla con Agostino ci hai fatti per te, e il nostro cuore non ha posa finché non riposa in te: l’inquietudine trova pace e delizia in questa arte, oggettivamente bella” e riflesso del Vangelo.
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