La Festa dei Popoli, per un’unica famiglia umana
Salvatore Tropea - Città del Vaticano
La celebrazione eucaristica della Festa dei Popoli è stata presieduta dal cardinale segretario di Stato, Pietro Parolin, che ha posto l’accento sul brano del Vangelo di oggi, un vero e proprio “testamento di Gesù che ci parla del nuovo comandamento, ovvero amarci a vicenda come Lui ha amato noi”. Per il cardinale questo diventa quindi “il tratto distintivo di ogni cristiano”. Ma il solo amore umano non basta perché “si potrebbe trasformare in un sentimento di possesso e di violenza”.
Parolin: le differenze sono una ricchezza
Il comandamento nuovo è la base per ogni azione umana di amore, poiché “noi amiamo perché siamo stati prima amati da qualcuno” e questo porta, ha sottolineato il cardinale Parolin, “ad accogliere e creare un mondo nuovo soltanto con l’amore libero e incondizionato di Cristo”. Il senso vero e profondo dell’incontro di oggi, ha detto il cardinale, “è costruire il Regno di Dio, dialogare, vivere insieme e vivere da fratelli già su questa Terra se fondiamo i nostri rapporti sull’amore vicendevole”. È necessario, però, capire che “le differenze tra le varie comunità ed etnie sono una vera ricchezza”. Al contrario, chiudersi in se stessi “o anche solamente ignorare l’altro significa non amare e la mancanza di amore è il primo passo per uccidere l’altro nel nostro cuore, estrometterlo ed emarginarlo”.
La liturgia animata dai Popoli
La celebrazione eucaristica, che per il quattordicesimo anno si è tenuta nella Basilica di San Giovanni in Laterano, è stata animata da 26 comunità etniche provenienti da diverse nazionalità. Il canto del “Gloria” è stato intonato dai fedeli provenienti dal Congo, mentre il Salmo è stato cantato in tagalog, una delle principali lingue delle Filippine e la più diffusa nel Paese asiatico. L’offertorio, invece, è stato affidato ad alcune persone dello Sri Lanka, il “Sanctus” è stato cantato in ucraino, i canti di Comunione in rumeno e in malayalam, la lingua dravidica meridionale parlata nello stato indiano del Kerala. Infine, il canto conclusivo della Messa è stato intonato dai fedeli provenienti dalla Polonia.
Il pranzo multietnico
Sul sagrato della Basilica di San Giovanni, al termine della Messa, il consueto pranzo con le pietanze tipiche di 13 paesi diversi: Eritrea, Togo, Romania, Ghana, Nigeria, Ucraina, Polonia, Bangladesh, Brasile, Capoverde, Congo, Camerun e Siria. Una festa di fede, colori e usanze dunque, arricchita nel pomeriggio con uno spettacolo multietnico, con l’esibizione di circa venti gruppi con balli folkloristici e canti. Nel tardo pomeriggio, infine, un concerto finale, realizzato in collaborazione con l’African Perfect Armony, un gruppo musicale nato nel 2017 nel centro di accoglienza delle Tagliate di Lucca, e con la Med Free Orkestra, un progetto nato nel quartiere di Testaccio nel 2010 che riunisce musicisti provenienti da varie aree del mondo. Sul palco anche la Earth Band guidata da Tony Esposito e il cantante Marco Iachini, vincitore dell’ultimo Sound Spirit Festival.
Un Festa di testimonianze
L’evento rappresenta ogni anno “un’importante testimonianza di convivenza civile tra popoli diversi”, come ha sottolineato mons. Pierpaolo Felicolo, direttore dell’Ufficio Migrantes della Diocesi di Roma. La Capitale “ha imparato con gli anni – ha spiegato – a riconoscere l’importanza dello stare insieme, ma bisogna ancora lavorare molto per abbandonare i luoghi comuni che ci sono soprattutto per quanto riguarda i migranti”. La paura del diverso, dello straniero, di chi ha un’altra cultura “ci fa rimanere chiusi in noi stessi ed è il modo peggiore per affrontare l’accoglienza e il fenomeno della migrazione”. La Festa dei Popoli, dunque, diventa sempre “un incontro che crea solidarietà e fa superare qualsiasi distanza, come appunto si vede nella celebrazione eucaristica, dove ogni etnia ha un suo spazio e si partecipa tutti insieme”.
Grazie per aver letto questo articolo. Se vuoi restare aggiornato ti invitiamo a iscriverti alla newsletter cliccando qui