I Papi e il movimento ecumenico
Laura De Luca – Città del Vaticano
Nella sua visita di domenica 5 maggio al Patriarca della Bulgaria Neofit, Papa Francesco ha ricordato l’analoga visita di San Giovanni Paolo II al Patriarca Maxim nel 2002, ma anche la figura di San Giovanni XXIII, che negli anni fra le due guerre fu visitatore apostolico in Bulgaria e “tanto si affezionò a questo popolo «semplice e buono» apprezzandone l’onestà, la laboriosità e la dignità nelle prove. Mi trovo anch’io qui, ospite accolto con affetto, e provo nel cuore la nostalgia del fratello, quella salutare nostalgia per l’unità tra i figli dello stesso Padre, che Papa Giovanni ebbe certamente modo di maturare in questa città. Proprio durante il Concilio Vaticano II, da lui indetto, la Chiesa ortodossa bulgara inviò i propri osservatori. Da allora i contatti si sono moltiplicati”.
Non solo durante il Concilio vennero annullate le reciproche scomuniche pronunciate nello scisma d'Oriente tra Roma e Costantinopoli, ma uno dei nove decreti prodotti dal lavoro conciliare dei vescovi, Unitatis Redintegratio (Il ristabilimento dell'unità) del 21 novembre 1964 è dedicato specificamente all'ecumenismo. Nel gennaio di quello stesso anno Papa Paolo VI aveva affrontato il suo storico viaggio in Terra Santa compiendo un gesto rivoluzionario sul piano ecumenico. Rientrando in Vaticano, il giorno dell’Epifania, così aveva riferito ai fedeli e al Sacro Collegio
“Il Patriarca ecumenico di Costantinopoli, Atenagora, con ben undici metropoliti è venuto incontro a me e ha voluto abbracciarmi, come si abbraccia un fratello, ha voluto stringermi la mano e condurmi lui, la mano nella mano, nel salotto in cui si dovevano scambiare alcune parole, per dire: dobbiamo, dobbiamo intenderci, dobbiamo fare la pace, far vedere al mondo che siamo ritornati fratelli. E il Patriarca soggiungeva a me questa mattina: «Mi dica quello che dobbiamo fare, mi dica quello che dobbiamo fare». Siamo perciò davanti a questa proposta, a questa domanda che diventa per noi argomento di grande riflessione e ponderatezza; non dovremo lasciarci prendere dalle apparenze e dai momentanei entusiasmi; ma è domanda che può essere davvero un prodromo per un seguito ben diverso per la Chiesa universale di domani dalla condizione che oggi ancora la vede spezzata in tanti frammenti.
Così sono venuti gli altri patriarchi, sono venuti gli anglicani, sono venuti i protestanti, e tutti per stringere la mano e per dire come possiamo ritrovarci in Nostro Signore. Ma vi dirò che il momento in cui io mi sono sentito soffocare dalla commozione e dal pianto è stato quello nella santa Messa sul santo Sepolcro, nel proferire le parole nella consacrazione e nell’adorare la presenza sacramentale di Cristo là dove Cristo consumò il suo sacrificio”.
Alla conclusione del Concilio, l’8 dicembre del 1965, Paolo VI diede una importante sottolineatura, venata di entusiasmo pastorale:
“Per la Chiesa cattolica nessuno è estraneo, nessuno è escluso, nessuno è lontano. Ognuno, a cui è diretto il Nostro saluto, è un chiamato, un invitato; è, in certo senso, un presente. Lo dica il cuore di chi ama: ogni amato è presente! E Noi, specialmente in questo momento, in virtù del Nostro universale mandato pastorale ed apostolico, tutti, tutti Noi amiamo! Diciamo perciò questo a voi, anime buone e fedeli, che, assenti di, persona da questo foro dei credenti e delle genti, siete qui presenti col vostro spirito, con la vostra preghiera: anche a voi pensa il Papa, e con voi celebra questo istante sublime di comunione universale”.
Dal concilio in poi l'ecumenismo è stato costantemente perseguito dalla Chiesa cattolica: all’incontro con Atenagora faranno seguito per Paolo VI l’incontro con l'arcivescovo di Canterbury (1966), quello con il patriarca siro ortodosso d’Antiochia (1971) e quello con il patriarca della Chiesa ortodossa copta (1973). Giovanni Paolo II promosse la redazione di una serie di documenti comuni con la Chiesa anglicana e luterana, nonché con diverse Chiese d'Oriente e i suoi molteplici viaggi apostolici furono sicuramente occasione di incoraggiamento alla conoscenza reciproca. A Roma incontrò ad esempio la comunità evangelico luterana l’11 dicembre 1983:
“Desideriamo ardentemente l’unità, e ci sforziamo di conseguire questa unità senza lasciarci scoraggiare dalle difficoltà che possono frapporsi lungo la strada … Infine ci sembra di veder sorgere da lontano come un’aurora, in questo 500° anniversario della nascita di Martino Lutero, l’avvento di una restaurazione della nostra unità e della nostra comunità. Questa unità è frutto del rinnovamento, della conversione e della penitenza quotidiani di tutti i cristiani, alla luce della parola eterna di Dio. È anche la miglior preparazione per l’avvento di Dio nel nostro mondo”.
Anche Papa Benedetto XVI ha compiuto passi decisivi del cammino ecumenico, anzi lo ha posto tra i fini principali del suo pontificato. La pubblicazione in russo del suo libro Introduzione al cristianesimo è siglata per esempio da una prefazione del metropolita ortodosso di Smolensk e Kaliningrad, Cirillo; la presentazione della traduzione russa dell'enciclica Spe salvi è a firma del prorettore dell'Accademia teologica ortodossa Vladimir Shmalij. In occasione dei Vespri della Conversione di San Paolo del 2006, Benedetto XVI offre una lettura teologica del cammino ecumenico e coglie l’occasione per presentare la sua prima enciclica Deus Caritas Est.
“Al tema dell'amore ho voluto dedicare la mia prima Enciclica, che proprio oggi è stata pubblicata e questa felice coincidenza con la conclusione della Settimana di preghiera per l'unità dei cristiani ci invita a considerare questo nostro incontro, ma, ben più in là, tutto il cammino ecumenico nella luce dell'amore di Dio, dell'Amore che è Dio. … L'amore vero non annulla le legittime differenze, ma le armonizza in una superiore unità, che non viene imposta dall'esterno, ma che dall'interno dà forma, per così dire, all'insieme. È il mistero della comunione, che come unisce l'uomo e la donna in quella comunità d'amore e di vita che è il matrimonio, così forma la Chiesa quale comunità d'amore, componendo in unità una multiforme ricchezza di doni, di tradizioni. Al servizio di tale unità d'amore è posta la Chiesa di Roma … Davanti a voi, cari fratelli e sorelle, desidero oggi rinnovare l'affidamento a Dio del mio peculiare ministero petrino, invocando su di esso la luce e la forza dello Spirito Santo, affinché favorisca sempre la fraterna comunione tra tutti i cristiani”.
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