Parigi. Mons. Aupetit: si giustificano le cattive azioni con buoni sentimenti
“La buona coscienza non è la pace di Cristo”. Attorno a questo concetto, si è incentrata ieri sera l’omelia dell’arcivescovo di Parigi, mons. Michel Aupetit, alla 11ª veglia di preghiera per la vita che, su invito di tutti i vescovi dell’Île-de-France, si è celebrata ieri nella chiesa di Saint-Sulpice sul tema “Nella prova: scegliere la vita”. La veglia si è svolta nel giorno in cui è arrivata la notizia che la Corte di appello di Parigi aveva accolto il ricorso dei genitori di Vincent Lambert e ordinato quindi ai medici la ripresa dei trattamenti (alimentazione e idratazione) che mantengono in vita l’uomo, in stato di minima coscienza e al centro di una battaglia legale. Ieri in 2mila persone hanno riempito la navata della chiesa di Saint-Sulpice.
Si giustificano le cattive azioni con buoni sentimenti
Mons. Aupetit ha affermato: “Spesso uno giustifica le sue cattive azioni con buoni sentimenti. Si sopprime una vita perché così non soffre; ci si divorzia, per il bene dei bambini; impediamo ai bambini con sindrome di Down di vivere perché sarebbero inevitabilmente infelici. No, davvero, la buona coscienza non è la pace di Cristo”. “La vita – ha continuato l’arcivescovo – è una lotta, sempre e inevitabilmente. È questa lotta che ci rivela chi siamo. Tutto dipende dalle armi che usiamo. Ci sono armi che uccidono, feriscono, umiliano, disprezzano. E, poi, c’è l’unica arma che Cristo ci ha dato: l’amore. Sì, è l’amore che ci dà la pace di Cristo, la pace profonda, inalterabile nonostante le prove. È l’arma più difficile da gestire. Solo Gesù ci insegna come usarla. Ci ha dato l’esempio: donarsi fino alla fine”.
L’amore si rivela nella vulnerabilità, nella povertà, nella fragilità
Alla veglia sono state raccontate esperienze di vita molto forti, vittime di incidenti e gravi malattie. Nell’omelia, mons. Aupetit ha ricordato all’assemblea “la lezione che Jean Vanier ci ha lasciato”. E ha detto: “Ci sono solo due modi per guardare alla dignità umana. Nella esistenza stessa della persona che, in ogni caso, merita di essere amata, o nella sua perfezione fisica e psichica solo in base alla quale una persona può essere accettata nella società e avere così il permesso di vivere”. “Dio – ha ricordato Aupetit – si è fatto vulnerabile per mostrarci che l’amore si rivela solo di fronte alla vulnerabilità, alla povertà, alla fragilità”.
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