P. Porcellato: le sfide della missione in Africa al servizio di Cristo
Gabriella Ceraso - Città del Vaticano
Annunciare Cristo nelle zone più lontane, accompagnare le comunità nascenti e farlo in uno "spirito di famiglia", "accogliente e caloroso". Sono le raccomandazioni che Papa Francesco ha fatto nel suo discorso ai padri delle Società delle Missioni africane (Sma) il 17 maggio scorso. Il ricordo è ancora vivo in padre Antonio Porcellato che in qualità di vicario generale della Sma, era presente e che, ospite a Vatican News, racconta quali e quante sono le difficoltà nel mettere in pratica un mandato così prezioso.
In questi giorni se ne parla anche vicino Roma, a Sacrofano, dove si sono aperti i lavori dell'Assemblea Generale Annuale dei Direttori nazionali delle Pontificie Opere Missionarie. Sul tavolo la missione nei suoi diversi aspetti: la vita, la teologia, i programmi e i rischi.
Dove è la comunità è il missionario
"I pericoli cui andiamo incontro sono tanti. Ci sono le epidemie,come è stato per l'Ebola in Liberia, c'è l'insicurezza specie nel Sahel, ci sono le guerre, insomma dobbiamo fare fronte a tutto. In questo periodo, specie in Niger e in Burkina Faso, la tensione è molto alta", racconta padre Antonio Porcellato. "E' una tensione dalle radici profonde che affondano negli interessi economici, nei traffici di materiali preziosi e di esseri umani, con l'implicazioni di Paesi anche insospettabili, e la popolazione così come le religioni vengono strumentalizzate in questa vile lotta di interessi".
Ma i missionari devono e sanno reagire: dopo un attentato, dopo un rapimento o nel mezzo di un conflitto. Come? Tre anni fa dopo gli attentati al Bataclan a Parigi, ricorda padre Porcellato,"un gruppo di giovani è piombato a Niamay in Niger e ha distrutto sette chiese cattoliche provocando uno shock terribile. Eppure in pochi mesi erano tutte ricostruite, un pò col sostegno della SMA, ma soprattutto con l'aiuto di tanti che vivendo insieme a noi hanno sentito quanto immotivato e terribile fosse stato quel gesto". Si reagisce dunque con la "motivazione interiore" ma anche con l'aiuto della comunità: "se la gente resta noi non possiamo andare via, qualunque cosa accada, noi abbiamo dato la vita per la missione e siamo pronti anche a perderla".
Dal rapimento di padre Maccalli un "sussulto di fede"
Diversa è la situazione là dove è stato rapito padre Pier Luigi Maccalli, cremasco, della Società delle Missioni a Bomoanga, villaggio della prefettura di Makalondi, vicino alla frontiera con il Burkina Faso. "Lì, la giovane comunità cristiana privata della presenza viva di un sacerdote sta vivendo un forte disorientamento. Per loro è il momento di resistere e lo si fa soprattutto con l'aiuto dei catechisti ".
Il ricordo di padre Maccalli è vivo e il suo rapimento ha dato tanti frutti in termini di fede. Padre Antonio parla di un "sussulto di preghiera", di una "rinascita della fede": "sono trascorsi ormai otto mesi dal suo rapimento e ogni venerdì un gruppo di persone nel suo villaggio fa un'ora di adorazione ininterrottamente e anche tutti noi suoi confratelli, abbiamo inziato ad interrogarci di più e meglio sulla nostra vocazione e sulla chiamata a dare la vita per Cristo in missione".
"Penso spesso a lui - ricorda ancora padre Antonio - è un uomo semplice, gioviale e dalla grande forza interiore. Non ce lo vedo in silenzio con i suoi rapitori, sicuramente avrà tentato di stabilire un dialogo e un rapporto umano con loro. Tra noi ci ripetiamo la frase di Gesù Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo. Speriamo con lui e per lui che senta questa presenza forte e preghiamo perchè Gesù lo accompagni sempre".
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