Papa: con l'Ascensione il Signore ci ricorda che la meta è il Cielo
Roberta Barbi - Città del Vaticano
“Detto questo, fu elevato in alto sotto i loro occhi e una nube lo sottrasse al loro sguardo. E poiché essi stavano fissando il cielo mentre egli se n'andava, ecco due uomini in bianche vesti si presentarono a loro e dissero: «Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo? Questo Gesù, che è stato di tra voi assunto fino al cielo, tornerà un giorno allo stesso modo in cui l'avete visto andare in cielo»”. (At 1, 9-11)
Il giovedì della sesta settimana di Pasqua si celebra in Vaticano e in alcuni Paesi del mondo, la solennità dell’Ascensione, che in Italia e in altre nazioni, il calendario sposta alla domenica successiva. Siamo nel tempo della Pasqua, cioè della gioia, della liberazione dalla morte e dal peccato grazie alla Resurrezione, nel tempo della promessa di salvezza. Gesù, quindi, torna per congedarsi dagli apostoli che ora sono pronti al distacco, come figli cresciuti. La separazione, però, è solo apparente perché il Signore, invisibile, continua ad operare nella Chiesa, ed è temporanea, perché Egli un giorno tornerà.
Fonti storiche e origini della solennità
I Vangeli parlano poco dell’Ascensione: Matteo e Giovanni terminano il racconto con le apparizioni di Gesù dopo la Resurrezione; Marco gli dedica l’ultima frase del testo, mentre Luca le dà più ampio respiro, soprattutto negli Atti degli Apostoli. Qui precisa che 40 giorni dopo la Pasqua – un numero altamente simbolico in tutta la Bibbia – Gesù conduce gli apostoli verso Betania e arrivato sul Monte degli Ulivi (chiamato perciò anche Monte dell’Ascensione) li benedice e parla loro prima di salire al cielo e fare ritorno al Padre. In questo discorso Gesù conferma la promessa della discesa dello Spirito che non li lascerà soli e prefigura la sua seconda venuta, alla fine dei tempi. La celebrazione dell’Ascensione ha origini antiche ed è già testimoniata sia da Eusebio di Cesara che e dalla pellegrina Egeria, e risente della tradizione ebraica ad esempio nell’immagine della “salita” verso Dio non solo fisica – seppure cattedrali e monasteri sono spesso collocati in posizioni elevate – ma anche spirituale, intesa come purificazione e raccoglimento per ascoltarne la Parola. Inizialmente veniva celebrata a Betlemme proprio per sottolineare che da lì tutto era partito, e costituiva un tutt’uno con la festa di Pentecoste, celebrata il pomeriggio dello stesso giorno, ma da questa era già separata nel V-VI secolo, come dimostrano San Giovanni Crisostomo e Sant’Agostino che all’Ascensione dedicarono intere omelie.
Il significato dell’Ascensione
Tornando al Padre, Gesù chiude un cerchio, che ha attraversato la sua esistenza umana per tornare nei cieli, pur rimanendo vivo e presente nella Chiesa. Ma è proprio grazie al momento dell’Ascensione che questa dicotomia tra cieli e terra viene superata: Gesù se ne va, ma soltanto precede, come un fratello, come un re e come il Figlio prediletto, tutti gli uomini, in paradiso, lì dove è Dio. Come un uomo, Gesù era sceso agli inferi per salvare Adamo e così, con l’Ascensione, ribadisce una volta in più che è il cielo il destino a cui l’uomo deve aspirare, la santità, riassumendo il senso del mistero dell’Incarnazione e il fine ultimo della salvezza. La glorificazione della natura umana, incarnata dal Verbo in tutta la sua povertà e da Lui, poi, sollevata fino al cielo, è ancora meglio spiegata in diverse preghiere appartenenti alla tradizione bizantina in cui si supera la disputa, appunto, tra cielo e terra.
“Alla destra del Padre”
Ci sono molti punti, all’interno dei Vangeli, in cui Gesù prefigura quanto avverrà nell’Ascensione, ad esempio durante l’Ultima Cena, in cui annuncia “vado dal Padre”. E il posto alla destra del Padre è, appunto, il posto d’onore, quello del Figlio prediletto che per amore si è fatto carne, è morto e risorto e così ha salvato l’umanità. Quel posto è suo da sempre, perché Gesù prima di essere uomo è Figlio del Padre e presso di Lui ha stabile gloria. Gesù, quindi, ascende al cielo per dare inizio al regno che non ha fine, ma anche per preparare il nostro posto in cielo. Se Gesù non tornasse al Padre nei cieli, per l’uomo non ci sarebbero redenzione né salvezza: solo così, infatti, Egli in qualche modo completa la Sua Resurrezione inviando, poi, nel mondo il Consolatore.
L’Ascensione nell’arte
Molti significati di questa festa si capiscono ancora meglio analizzandone l’iconografia. L’Ascensione del Signore è spesso rappresentata con una scena divisa in due parti, che rappresentano il cielo e la terra. In cielo sta Cristo, rappresentato nel gesto del Pantocratore, cioè Signore di ogni cosa, mentre nella mano sinistra ha il rotolo della Legge. Indossa le vesti della Resurrezione, i colori dominanti sono quelli regali, bianco e rosso, tutto è pieno di luce e perfino i cieli si piegano a fargli da trono. In basso, invece, sulla terra, resta l’umanità, ma è un’umanità rinnovata: dalle rocce aride, infatti, sorgono quattro cespugli lussureggianti, cioè i quattro angoli della Terra che saranno vivificati dalla Parola, dai Quattro Vangeli. Anche gli apostoli sono spesso vestiti di verde, il colore della liberazione mediante la grazia, e il loro atteggiamento è ormai di speranza nella promessa, non più di sgomento per quanto avvenuto. In primo piano, spesso, ci sono Pietro e Paolo, ma nella scena c’è anche Maria, spesso accompagnata da due angeli e loro tre sono gli unici esseri a portare l’aureola. Maria è posta in asse con il Figlio, di cui ha condiviso la missione umana ed è, in pratica, la congiunzione tra i due mondi. La sua non è più espressione di dolore, ma atteggiamento di preghiera: quello della Chiesa e dell’umanità tutta, in attesa della fine dei tempi.
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