Oggi in Sardegna Edvige Carboni è “Benennida”
Roberta Barbi – Città del Vaticano
Se si potesse definire la Beata Edvige Carboni con una sola parola, quella da scegliere sarebbe certamente umiltà: è la santa dell’umiltà, infatti, questa donna dell’entroterra sardo che seppe mettere da parte la sua profonda vocazione per essere a completa disposizione della sua famiglia. Lo sottolinea nel descrivere la grandezza di questa figura, il card. Angelo Becciu, prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi: “Ha capito che ciò che contava non erano tanto le sue sante idee, ma accettare la volontà di Dio, perché alla fine essere Santi significa percepire qual è il disegno di Dio su di te e seguirlo, come ha fatto Maria”. (Ascolta l’intervista completa)
I segni non mentono
Edvige nasce in una famiglia dalla fede autentica, dove ci sono altri quattro figli. Ma che lei sia speciale se ne accorge subito la madre. Nel giorno del parto, infatti, la camera in cui stava avvenendo il travaglio viene illuminata a giorno da una sfera di luce, mentre la piccola, appena nata presenta sul petto una strana voglia a forma di croce. Le visite celesti iniziano presto nella sua vita, fin da bambina. Edvige incontrava il suo Angelo Custode che le diceva quanto Dio la volesse tutta per sé, perciò a 5 anni si consacra interamente a Lui con il voto di castità. Anche se è costretta a lasciare la scuola alla quarta elementare, la sua infanzia trascorre serena, con Gesù Bambino che ogni tanto si stacca dalle braccia di Sua Madre nel vecchio quadro della Vergine col Bambinello che c’è in casa, per scendere a giocare con lei.
Una vita votata all’obbedienza
Le cose cambiano bruscamente quando la mamma muore, nel 1910. Edvige ha 30 anni e deve caricarsi tutta la famiglia sulle spalle. “Risulta volesse entrare tra le Figlie di San Vincenzo, però le condizioni di vita non glielo hanno permesso – aggiunge il porporato – dopo la mamma malata, ha dovuto assistere una zia, uno zio, la nonna, e alla fine una sorella e il padre con cui si trasferì a Roma”. Ma Edvige era preparata alla sofferenza. Quando aveva ricevuto la Prima Comunione, rivelando al suo confessore l’intenzione di entrare in convento, questi le aveva detto che anche assistere la sua famiglia era servire il Signore. Così lei si era rassegnata al lavoro come ricamatrice per mantenere i fratelli agli studi. Ma non le bastava. Faceva la catechista, puliva la parrocchia, assisteva i poveri e gli ammalati, e poi entrò anche nel Terz’Ordine Francescano: “Questo voler cercare è indice di quell’anelito interiore di essere totalmente dono a Dio e ai fratelli – continua il cardinale – non poteva rimanere inattiva, sentiva dentro di sé l’impulso di dedicarsi agli altri che viene dallo Spirito”.
“Ti chiami Edvige e della mia Passione sarai effigie”
La nuova Beata sorride sempre, parla poco e a voce bassa. Ma di lei iniziano a parlare gli altri. I sacerdoti e le persone che soccorre le sono grati, ma quando cominciano i fenomeni di levitazione, di bilocazione, quando la vedono cadere in trance, immobile per ore in chiesa o avere esperienze mistiche, molti hanno paura. O invidia. Poi, il 14 luglio 1911, Gesù dalla croce le parla e le dice che dovrà soffrire ancora, e molto. Sta per donarle una grazia ancora più grande: quella di condividere con Lui il dolore della Passione attraverso le stimmate. Edvige le nasconde, ma quando le piaghe sanguinano le macchie si vedono. Molti parlano male di lei, la evitano. Edvige, per tutta risposta, prega sempre di più. Nel 1925 viene sottoposta a un processo canonico: per molti sarebbe un’umiliazione profonda, ma lei vive tutto con serenità e offre il dolore dello spirito, oltre a quello del corpo, a Gesù crocifisso.
L’aristocrazia spirituale di una “piccola donna”
Edvige vive nel periodo delle due guerre mondiali e della rivoluzione atea comunista in Russia. “Si deve sempre infondere conforto e speranza”: questo è il suo motto mentre inizia ad aiutare le giovani vedove della guerra e le future spose senza dose. Glielo ha chiesto Gesù in persona, come la Madonna – che nel frattempo era apparsa ai tre pastorelli di Fatima – le chiede di pregare il Rosario e di offrirsi per la consacrazione della Russia. “Chi arde, incendia”, dice a tutti coloro che le chiedono come faccia a fare tutto, volontaria anticipatrice dell’apostolato dei laici, tema che sarà affrontato solo nel Concilio Vaticano II. Muore all’improvviso nel 1952; in occasione della Beatificazione i suoi resti sono stati trasportati nella chiesa di San Giorgio Martire a Pozzomaggiore. Di lei ci restano uno splendido diario e un grande esempio di chi, come conclude il card. Becciu, “vive bene il Vangelo, vive la carità, la dedizione agli altri e un’intensa comunione con Dio”.
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