Strage in Libia su centro migranti. Mons. Di Tora: serve presa di coscienza mondiale
Cecilia Seppia – Città del Vaticano
Oltre 40 morti e 35 feriti, tra cui donne e bambini in seguito al raid in Libia che ha colpito in pieno un centro di detenzione di migranti a Tajoura, dove ammassati come animali, al momento dell’attacco c’erano 120 persone, tutte di origine africana. Il presidente della Commissione episcopale Cei per le migrazioni, mons. Guerino Di Tora, a nome dei vescovi italiani, non solo esprime preoccupazione, ma condanna fortemente il gesto definendolo “un atto deplorevole di disumanità”. Il presule, che è anche a capo della Fondazione Migrantes, parla dei campi di detenzione libici come veri e propri “campi di concentramento” e con forza sollecita una presa di coscienza mondiale di fronte al fenomeno migratorio che non è più emergenziale ma strutturale e alla violazione dei diritti umani, perennemente subita da queste popolazioni e dai migranti in particolare che cercano di fuggire alla ricerca di un futuro migliore.
R. - Un atto deplorevole, di disumanità nei confronti di gente che già sta subendo una persecuzione in questi campi di detenzione. Diventa veramente qualcosa che rasenta l’assurdità umana, la follia. Dobbiamo veramente rimetterci in un atteggiamento non solo di attenzione ma di comprensione di fronte a certe problematiche che riguardano l’umanità intera. Di fronte alla povera gente che viene detenuta in questi campi dove sono assommati, massacrati tante volte… Arrivare al punto del bombardamento, per quanto questo raid abbia colpito anche altri obiettivi, significa proprio un atto di totale disumanità di fronte al quale la coscienza di nessuno può tirarsi indietro. Tutti dobbiamo sentirci partecipi di questa realtà, nessuno deve dire: non mi interessa, è un problema degli altri, è colpa della guerra che c’è in Libia… Dobbiamo tutti prenderne coscienza e sentire sulla nostra carne questa realtà. Oggi questo fenomeno delle migrazioni, questo fenomeno di gente che deve fuggire da guerre - e non c’è solo la guerra delle armi, c’è anche la guerra della fame, della siccità, della desertificazione, - ci interpella tutti. Dobbiamo tutti poterci sentire corresponsabili. E allora diventa per noi una presa di coscienza umana - umana! - Prima ancora che cristiana. Certo per noi cristiani rappresenta qualche cosa in più: il richiamo che il Signore ci fa di fronte a queste situazioni, di non lasciare l’altro, il nostro prossimo, in realtà disumane, di soccorrerlo, di accoglierlo.
Al di là di chi sia la responsabilità di questo atto, è triste che sia stato un fatto così grave a riaccendere lo spot sulla Libia, che è uno di quei luoghi in cui si consuma uno dei tanti conflitti dimenticati, su cui il Papa spesso insiste per richiamare l’attenzione…
R. – La guerra in Libia c’è e perdura, in quel Paese i cittadini si uccidono tra di loro, ed è un conflitto che va a cogliere tutta quella problematica che riguarda l’Africa del Nord e che coinvolge, anche indirettamente, tutti questi migranti che sono detenuti in questi ‘campi di concentramento’. Un conflitto di questo genere deve risvegliare la coscienza delle altre nazioni, che devono poter trovare una forma di mediazione, un modo attraverso il quale si possa ritornare ad un equilibrio di pace, di stabilità. Serve una presa di coscienza mondiale. Perché finché lì non ci sarà stabilità e non ci sarà pace, tutto il Medio Oriente ne risentirà, e anche l’Europa, anche noi, che ci troviamo dall’altra parte del mare. Deve quindi essere un qualcosa che non semplicemente è uno spot giornalistico, una notizia che leggiamo e dimentichiamo, ma un qualcosa che deve entrare nella nostra cultura perché tutti possiamo muovere coloro che sono al potere e governano le nazioni, l’Europa intera, l’Onu, perché questa realtà possa al più presto cessare, perché si possano trovare le condizioni e le modalità per quella pace che viene ad essere un bene comune del mondo intero.
Eccellenza, lei ha usato un’espressione molto forte per descrivere questi luoghi in cui sono tenuti i migranti in Libia: ha detto “campi di concentramento”, quindi il riferimento è piuttosto chiaro ed è dettato anche dalle condizioni in cui vivono i migranti, davvero disumane. Vengono tenuti in container senza aria, senza acqua, senza cibo. Eppure questa realtà libica non è molto conosciuta … Perché anche in Italia queste persone continuano ad essere viste più che come vittime, come invasori?
R. – Abbiamo visto delle immagini purtroppo atroci, di gente che muore per la siccità, che impazzisce, che viene violentata. E tutto questo unicamente per avere più soldi, per alimentare i mercanti di morte, perché questi possano chiamare le loro famiglie, i loro cari, nelle nazioni da cui sono fuggiti e mandare soldi per essere riscattati: una vera e propria forma di schiavitù, di nuova disumanizzazione, di fronte alla quale ritengo che non possiamo né tacere né rimanere nell’indifferenza. E’ impossibile non conoscere e non denunciare questa realtà.
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