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Meeting di Rimini. Card. Bassetti ai giovani: ogni vocazione è una chiamata d’amore

Il presidente della Conferenza episcopale italiana, cardinale Gualtiero Bassetti, interviene alla 40.esima edizione del Meeting di Rimini, in corso fino a sabato sul tema: “Nacque il tuo nome da ciò che fissavi”. Al centro delle riflessioni del porporato i giovani e le loro speranze di futuro, in un mondo sempre più caratterizzato da un “materialismo nichilista”

Barbara Castelli – Città del Vaticano

 

“La concretezza di andare verso il prossimo non è in contrapposizione con la capacità di sognare. Anzi, sono due dimensioni intimamente legate e tenute assieme dalla gioia di seguire Gesù abbandonando le sicurezze del mondo”. E’ uno dei passaggi dell’intenso intervento pronunciato dal cardinale Gualtiero Bassetti, presidente della Conferenza episcopale italiana, al Meeting di Rimini. Il porporato, riflettendo sul tema: “Non fatevi rubare i sogni, sono il futuro”, mette a fuoco il pericolo contemporaneo di essere attratti preminentemente da “un materialismo nichilista senza alcuna cura verso l’altro che sta nella sofferenza e senza uno slancio autentico verso il futuro”. Ormai da molti decenni, rimarca, “nel discorso pubblico, è usuale parlare dei giovani attraverso un linguaggio denso di retorica e buoni sentimenti, ma con poca attenzione alla vita concreta dei ragazzi e soprattutto con un discutibile senso di responsabilità verso di loro”.

I talenti dei giovani non finiscano nella palude della società

Il presidente della Conferenza episcopale italiana parla dei giovani e della loro sete di speranza, così come degli adulti e delle loro responsabilità. Spetta, infatti, agli adulti il compito “dell’annuncio”: saper comunicare la bellezza di una vita senza “scorciatoie e compromessi”, senza “cedere alle lusinghe effimere della società e senza inginocchiarsi ai falsi idoli del mondo”. “La vita vera è infatti – sottolinea – una vita di incontro e non di divisione; una vita di carità e non di potere; una vita di amore e non di sentimenti. Perché saremo giudicati sull’amore. E sull’amore siamo chiamati a discernere la nostra vocazione”. Solo in questo modo i giovani potranno davvero valorizzare i propri talenti.

I giovani che io conosco – e che ho conosciuto in molti anni di sacerdozio – sono infatti giovani ricchi. Anzi, ricchissimi. Non di denaro ma di talenti. Nella maggioranza dei casi, però, questi talenti non vengono riconosciuti. Rimangono sepolti nel deserto o, forse dovrei dire, nella palude della nostra società. Ho purtroppo la netta sensazione che il nostro Paese non riesca minimamente a valorizzare i talenti, le capacità e le attitudini dei nostri giovani.

“È triste – prosegue il porporato – quel Paese che non sa progettare il futuro, che non riesce a sanare le ferite della propria storia”. Non può essere trascurato, inoltre, l’incremento costante dell’emigrazione dei giovani italiani all’estero, chiaro sintomo dello “sviluppo progressivo di una società vecchia e immobile”, vecchia soprattutto per uno “spirito di corporazione e conservazione che fa sopravvivere consorterie e oligarchie, amicizie e spirito di clan”.

Non lasciatevi rubare i sogni

Di qui l’invito del cardinale Gualtiero Bassetti ai giovani a non farsi “rubare i sogni”, che “non sono pure evasioni, ma fondamento di un futuro tutto da creare con coraggio e con la forza dello Spirito”. Un passaggio fondamentale, nella costruzione di un futuro veramente umano, è riscoprire il vero significato del “concetto di relazione”.

Oggi, molti giovani, condizionati da una società edonista che troppo spesso banalizza le amicizie e i rapporti umani, conducono una vita individualistica che non permette di apprezzare, fino in fondo, il senso del “vivere insieme”. Questo è a mio avviso uno snodo decisivo: occorre restituire il significato profondo del concetto di relazione. Perché è solo attraverso la relazione con gli altri che un giovane può diventare parte di un corpo vivo: di una famiglia, di una comunità cittadina, di una scuola, di un’associazione e di una comunità ecclesiale.

Le tre dimensioni della relazione

Il presidente della Conferenza episcopale italiana parla anzitutto della “relazione con il corpo”, “la prima forma di relazione che abbiamo con noi stessi e poi con gli altri”.

Il corpo, infatti, ha fatto irruzione nella società di massa con tutta la carica simbolica impressagli dalla rivoluzione sessuale nel XX secolo. Una rivoluzione che è stata soprattutto giovanile e femminile. Ma il corpo oggi assume anche la carica drammatica delle guerre o delle morti di massa, come le morti dei migranti, trasmesse in video dai mass media. Questo è un punto su cui riflettere a fondo: è fondamentale riattribuire alla relazione con il corpo un significato autentico, combattendo ogni banalizzazione e ogni deriva ideologica.

Non meno importanti sono le “relazioni interpersonali”, attraverso le quali “ogni persona diventa un membro di un corpo vivo: è parte di una famiglia, di una comunità cittadina, di una scuola, di un’associazione, di una comunità ecclesiale”. “Nessun uomo è un’isola”, e dinanzi all’odierna “liquidità dei rapporti umani” è urgente “fornire una risposta alta e concreta al senso di spaesamento che respirano i nostri giovani nelle città, e al senso di confusione e di permissivismo che vivono su internet”.

Vorrei sottolineare oggi soltanto due aspetti: innanzitutto, la dimensione spersonalizzante di moltissimi giovani che vivono sia nelle grandi metropoli che nelle periferie abbandonate delle nostre città; in secondo luogo, la dimensione di amicizia superficiale e di solitudine delle giovani generazioni che quotidianamente vivono gran parte delle loro relazioni sul web attraverso i telefoni o i computer. I numeri della pornografia su internet, per esempio, sono impressionanti e preoccupanti.

Infine, la “relazione con il trascendente e con la Chiesa”. Ci sono giovani, precisa il cardinale Gualtiero Bassetti, che “dalla tenera età fino al matrimonio crescono e rimangono all’interno di gruppi ecclesiali”, altri, invece, che sembrano avere con la Chiesa un “rapporto a tempo”, “spesso seguendo un percorso biografico comune, segnato da un rapporto con il corpo e con gli altri banalizzato, oppure perché scandalizzati dai peccati della Chiesa”.

Mai come oggi, dunque, siamo chiamati ad essere Chiesa in uscita verso i giovani e penso che siano straordinariamente attuali le parole di Paolo VI quando disse che “l’uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri, o se ascolta i maestri lo fa perché sono dei testimoni”.

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19 agosto 2019, 12:37