Iraq, padre Jahola: dalle ceneri rinasce il futuro
Emanuela Campanile - Città del Vaticano
Hanno sperato contro ogni speranza nelle parole del Vangelo: "Le porte degli inferi non prevarranno". Dopo la tragica fuga dalla violenza furiosa dell'Is, la comunità cristiana di Qaraqosh, si raduna nella chiesa dei Santi Beniamino e Sara per celebrare la propria rinascita. La parrocchia, devastata nel 2014 dallo Stato Islamico, è stata ricostruita.
Sono passati 5 anni dalla cacciata delle comunità cristiane dalla Piana di Ninive. "Ma mai", racconta padre George Jahola, "abbiamo smesso di immaginare come sarebbe stata bella la nostra chiesa, una volta sistemata".
Nel giorno dell'Assunzione, rinasce anche la comunità cristiana di questa zona dell'Iraq, ridotta a 800 famiglie, la metà di quello che era. "Vogliamo vivere in pace e nella pace" dice ancora il parroco Georges Jahola, facendo eco alle parole pronunciate dal cardianale Fernando Filoni, durante l'omelia del 3 agosto scorso: "ho visto la fede, non l'odio negli occhi dei cristiani perseguitati in Iraq":
R. – Nel 2014 abbiamo lasciato le nostre chiese e le nostre case. La città contava circa 50mila abitanti cristiani.
Adesso in quanti siete rientrati?
R. - Adesso la metà, 26mila circa. Noi abbiamo avviato il progetto della ricostruzione già prima della liberazione della città, nella Piana di Ninive, quando eravamo profughi. Come possiamo rientrare? In quale modo? Quindi come Chiesa ci siamo occupati di questo, perché il governo è sempre assente. Abbiamo lavorato per ricostruire le case e le comunità in quanto credenti, perché questo è il senso dell’appartenenza sia geografica ad una parrocchia, sia quella spirituale ad una comunità che una volta, prima dell’Is, celebrava le messe, le funzioni e che adesso di nuovo occupa i propri luoghi.
I fondi usati per questa ricostruzione da dove sono arrivati? Chi in questo senso si è preso cura di voi?
R. - Abbiamo ricevuto fondi dalle organizzazioni cristiane e dalle comunità cattoliche e non.
Il cardinale Filoni, prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei popoli e già nunzio in Iraq e Giordania nel 2001 e nel 2006, ha detto nell’omelia del 3 agosto scorso che ha visto la fede e non l’odio negli occhi dei cristiani perseguitati in Iraq. Ha del miracoloso questo…
R. - Questo è vero, perché noi tendiamo la mano della pace e vogliamo vivere in pace con gli altri. Questo è ciò che abbiamo imparato dal Vangelo, dal Signore, ovvero essere strumenti della pace ma anche vivere la pace. Cerchiamo in tutti i modi di realizzarlo qui, dove la maggioranza è musulmana, dove c’è ancora qualcuno che ancora porta odio. Veramente noi crediamo in questo, nel perdono e nel lasciare il passato alle spalle per proseguire verso il futuro.
Quanti siete a celebrare questo che per voi è un momento di vicinanza e di rinascita?
R. - Siamo radunati insieme al vescovo, ai parrochi, ai fedeli, ma anche ai tanti amici che ci hanno aiutato. Tutte queste persone non vedono la comunità rinascere solo come pietre, ma proprio come fede attorno a Cristo che ha celebrato la Resurrezione. Quindi la Resurrezione di Cristo è la resurrezione della comunità stessa che va avanti. La nostra comunità conta circa 800 famiglie.
Ci può raccontare qualcosa di particolare a cui lei ha assistito nella progettazione della ricostruzione di questa chiesa?
R. - Un continuo sguardo su quella chiesa che era tutta nera, distrutta: un giorno tornerà come prima. Il grande tesoro che forse hanno dentro di loro. Dalle ceneri nasce la vita e questa è vita nuova per noi.
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